Riforme, il rush finale ostacolato dai frenatori

Da domani il Senato vota sulla sua trasformazione ma i dissidenti non mollano. Elezione del Capo dello Stato: maggioranza qualificata fino all'ottavo scrutinio

Riforme, il rush finale ostacolato dai frenatori

Roma - Stufato, zuppone, arrosticini: la vorticosa confusione nella cucina renziana rende incomprensibile il piatto che ne verrà fuori. Nel calderone finiscono spezie d'ogni tipo, basta conoscere lo sguattero giusto, e persino ingredienti mai combinati assieme. Ignoto anche il forno; Forza Italia s'accontenterebbe d'essere rassicurata sul tipo di cucina: un robusto Italicum piuttosto che una diavoleria Nouvelle, magari ispirata da Chef Cinquestelle.

Eppure questo è uno dei punti cardine della corsa contro il tempo che va di scena a Palazzo Madama, dove ieri s'è svolto il preannunciato avanspettacolo. La presidente Finocchiaro ha dovuto ammettere che il lavoro in commissione non s'è concluso, concedendo ai «dissidenti» pidini una gran rivincita («Avete visto? Eppure da due mesi noi non tocchiamo palla... C'è da chiedersi chi freni, in realtà, e perché Renzi non lo dica chiaramente»). A maggioranza si vara un nuovo calendario, con ddl Boschi incardinato in aula da oggi pomeriggio, termine per presentare emendamenti fino alle 13 di martedì e discussione contingentata da lunedì a giovedì. Da mercoledì votazioni a raffica (si sa che Renzi deve portare uno «scalpo» di senatore riformato alla Merkel, secondo una ben colorita espressione di Pier Luigi Bersani). Nel frattempo in serata la commissione va avanti ma rimanda a oggi il voto sul Senato non elettivo di cento membri, scelti con criterio proporzionale nonché sulle nuove modalità di elezione del Presidente della Repubblica: spariscono i delegati delle Regioni, voteranno soltanto i 630 deputati (bocciato un emendamento che voleva ridurli) e i 100 senatori (di cui cinque di nomina presidenziale). Per eleggerlo a maggioranza assoluta e non dei due terzi bisognerà attendere il nono scrutinio, e non il quarto come da Costituzione vigente. Rientra in campo pure il secondo relatore, l'infortunato Calderoli, salutato dall'applauso delle commissione (e dal grido: «Sei il nostro Totti!»).

Tutto bene quel che finisce bene? Nemmeno per idea. Protestano le opposizioni per i tempi stringatissimi e per lo slittamento del provvedimento anti-corruzione. Ma soprattutto protestano le minoranze interne, che trovano la sbobba invotabile. La riunione dei senatori di Forza Italia, prevista per stamane, viene rinviata a martedì, su richiesta di Berlusconi: dichiaratosi «indisponibile», presumibilmente vuol vedere le carte di Renzi (anche) sulla legge elettorale. I dissidenti d'ogni ordine e grado si riuniscono intanto trasversalmente sul «caso Mauro», rimosso dalla commissione: se l'atto venisse dichiarato illegittimo, ne conseguirebbe che il lavoro sulle riforme finirebbe nel cestino. Si appellano perciò al presidente Grasso. In subbuglio pure i grillini, per la gestione del dialogo con Renzi da parte di Di Maio, che fa la parte del «poliziotto buono», mentre Grillo si riserva quella opposta (sul suo blog, ieri, versione assai colorita sul «patto del Nazareno», che serve a «salvare il c. a Berlusconi»).

Renzi in definitiva dovrà presto decidere se le riforme, legge elettorale compresa, vuole condurle in porto assieme a Forza Italia, o se pensa di incassare il Senato grazie agli azzurri e un nuovo Italicum grazie ai grillini.

Così un Bersani tornato in grande spolvero riflette già sull'«insieme del sistema» costituzionale che verrà fuori dall'approvazione del Senato: «Se con il combinato tra riforme e Italicum non intendiamo avere che chi vince con il 30 per cento decide tutto e nomina tutti... Senza drammi né bracci di ferro, alla Camera dovremo dare un'aggiustatina». Sale e pepe «quanto basta», insomma. Per strozzarsi ancora un po'.

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