Uno scrittore alla frutta gli resta solo il reality

No, per carità non cristiana, non state lì a chiedervi «Cosa? Aldo Busi all’Isola dei Famosi?». Piuttosto sorbitevi gli alibi dello Scrittore: per esempio forse ci sarebbe andato anche Baudelaire, forse perfino Céline o Sade o Swift... (tesi tutta da dimostrare, Samuel Beckett non andò a ritirare neppure il Nobel). Oltretutto non vedo perché le argomentazioni busiane dovrebbero essere più nobili di quelle di Belen o la Milo o la Lecciso o qualsiasi stellina in crisi di identità e visibilità. Il principio busiano, tra l’altro, secondo cui, poiché ci sono le opere, puoi fare di tutto, puzza lontano un miglio e si sente perfino dai Caraibi. Si va in televisione, trash o non trash, perché si vuole andare in televisione. Senza scomodare McLuhan, tra gli effimeri, è l’unico modo di illudersi di esserci, poi ognuno si illude anche di starci per una ragione speciale rispetto agli altri. Cosa ci vada a fare Busi dalla Ventura l’ha già dichiarato ieri al Corriere della Sera, quando neppure dieci giorni fa aveva frignato accorato a Repubblica di essere deluso da tutto e da tutti e di fare la vita dell’eremita perché «da due settimane non esco di casa, non vado a cene mondane, non vedo nessuno», e di non andare più in televisione (le ultime parole famose prima di essere chiamato all’Isola dei Famosi), quasi quasi c’ero cascato anch’io. Invece, dopo tre settimane a Montichiari senza mondanità, che barba che noia che barba, Aldo è di nuovo pimpante e impaziente, e all’Isola dei Famosi ci andrà con una missione salvifica, per «parlare di religione e di politica», mica poteva andarci come ci vanno tutti quelli che ci vanno. Non si capisce perché l’Innominabile, habitué del piccolo schermo più trash, non sia diventato più televisivamente autorevole prima, quando invece l’abbiamo visto ovunque a sgambettare e scendere sempre più in basso di trasmissione in trasmissione, con un’operazione mediatico-maieutica al contrario: anziché innalzare il pubblico alla letteratura, ha abbassato la letteratura al pubblico fino a chiamare «artisti» i ragazzini sgambettanti di Maria De Filippi, come Michail Bachtin chiamava Dostoevskij o Flaubert. Tuttavia potete scommetterci, farà tutto quello che ha promesso: giocherà alla «gattina col topolino» insieme a Sandra Milo («resta da stabilire chi sia il gattino»), flirterà con l’ex giocatore di rugby («Mi dicono sia un bonazzo, si innamorerà di me») e sulla religione penserà di scandalizzare con le battutine sconce sulle trombate che ormai si sentono in qualsiasi reality (nell’Italia cattolica sarebbe scandaloso e illuminante invitare in primetime Daniel Dennett o Richard Dawkins o qualsiasi scienziato serio a parlare contro la religione, mentre Aldo «Peppone» Busi è una manna benedetta dal cielo), e piacerà a tutti, grandi e piccini, lo metterebbe a libro paga perfino la Cei pur di non farsi spiegare da uno scienziato la chimica terribile di cui siamo fatti.
D’altra parte è finito il tempo dei grandi libri, e Aldo, credetemi, venti libri fa ne ha scritti almeno dieci bellissimi e importantissimi, e ognuno da vecchio ha il diritto di essere alla frutta come meglio crede, anche di andarsela a mangiare all’Isola dei Famosi.

Insomma, altro che Innominabile, come gli piace autodefinirsi cantandosela e suonandosela da solo: dal più grande scrittore italiano vivente a un normale paraculo italiano televivente: non il più grande perché in questo ambito ce ne sono fin troppi, e tsunami e terremoti capitano sempre nei posti sbagliati.

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