Scuola, scioperano contro la Gelmini E non sanno chi è

Abbiamo chiesto agli studenti delle superiori i motivi dei cortei del 17 e 30 ottobre. Ecco le loro risposte. "È di venerdì: così ci facciamo un bel weekend". Un ragazzo su due non sa perché protesta: "Riforma? Quale riforma? E Gelmini chi?". Berlinguer: giusto premiare i prof più bravi

Scuola, scioperano contro la Gelmini 
E non sanno chi è

Qualcuno è pure onesto. «Ma sì, noi scioperiamo perché è venerdì: così ci facciamo un bel weekend lungo». La protesta contro la riforma della scuola è anche questo: una mini vacanza. Lo ammette uno studente su cinque di quelli intervistati dal Giornale, tutti ragazzi delle superiori (licei, magistrali e istituti tecnici), studenti fra Milano, Napoli, Roma e Genova. Ragazzi pronti a scendere in piazza contro la Gelmini, anche se qualcuno non sa neppure chi sia. E anche se oltre la metà non ha idea di che cosa sia, davvero, la riforma. Ma tant’è, tutti s’alzavano, scriveva Manzoni, e ora tutti vanno in corteo. Chissenefrega del motivo, per non saper né leggere né scrivere (cose che, in classe, si rischia oltretutto di dover fare) meglio sgolarsi a slogan e bandiere: male che vada, sarà un bel weekend. Senza lezioni.
Certo la scuola è quella da salvare dalla riforma, che si potrebbe supporre gli studenti conoscano a menadito. Peccato che solo uno su due, in media, sappia di che si tratti. La prima domanda è esemplare: il 70 per cento non sa che la riforma prevede lo studio obbligatorio dell’educazione civica nelle scuole secondarie; anzi, la metà pensa che il decreto Gelmini sia stato definito «autoritario» dagli agitatori della protesta perché ha ridotto le ore di insegnamento della Costituzione pur di risparmiare, mentre il 17,9 per cento crede che le abbia del tutto abolite. Questi ragazzi non avranno letto il decreto nel dettaglio, ma almeno è certo che, per loro, l’educazione civica sia fondamentale. E infatti uno su quattro pensa che l’educazione civica sia un prof che ti spiega di non buttare cartacce per terra e, soprattutto, il codice della strada. La Costituzione? È in un altro programma. Cioè quello della riforma, ma non è così importante soffermarsi sui dettagli, quando in gioco c’è una credibilità da ribelli (del venerdì).
Si parla di tagli alle spese, e la voragine aumenta. Il 32 per cento è convinto che la riforma diminuirà gli stipendi degli insegnanti: a parte che, se fosse vero, non ci sarebbe uno sciopero ma una guerra civile, agli allievi i prof non avranno mai parlato del famoso bonus annuale, quello che il ministro intende ridistribuire dal 2010. E un altro 11 per cento crede che la Gelmini voglia togliere i libri gratis ai bambini più poveri, mentre il ministro ha sostenuto il contrario. Ma l’euro è un terreno minato. I ragazzi criticano i tagli alle spese perché «oggi i soldi sono investiti soprattutto nell’innovazione e nelle strutture» e, se fosse così, si potrebbe anche dar ragione al 55,8 per cento che ha scelto questa risposta. Ma il bilancio dell’istruzione è chiaro: all’innovazione è destinato un misero 0,3 per cento, mentre agli stipendi dei prof tocca il 97 per cento della cassa. E poi la domanda è: ma che scuola frequentano questi ragazzi? Sono tutti contenti delle strutture e del rinnovamento tecnologico del loro istituto? Di solito dicono di no. Lo gridano spesso anche ai cortei ma, forse, non è poi così indicativo, a questo punto.
A causare qualche problema interpretativo c’è poi la faccenda del maestro unico. Sarà colpa della burocrazia, ma un ragazzo su sei pensa si tratti di un docente per ogni alunno o, al contrario, di uno per scuola. Allora andrebbero capiti, se protestano. Ma vanno anche capiti anche se pensano che una riforma del genere possa essere messa in cantiere. Poi il 60 per cento è convinto che il maestro unico insegnerà anche inglese, ma solo «se lo sa». E se non lo sa? Si salta la lezione? Chiaro. Infatti il 9 per cento ha scoperto che, alle elementari, l’inglese sarà abolito. In fondo, però, ai ragazzi delle superiori che importa del maestro unico per il quale sono pronti a scendere in piazza? Nulla. Lo ammette il 76,8 per cento; mentre i soliti sospettosi (11,7 per cento) prevedono già il suo arrivo alle superiori. I ragazzi sfileranno contro l’autoritarismo della Gelmini che vuole aumentare le ore di lezione (lo crede l’11,4 per cento; fonte della notizia: ignota) e, anche, perché la Gelmini è un’autorità (lo dice uno su sei), quindi è chiaro che sia autoritaria. Per non parlare del voto in condotta, motivo principale di ribellione ma, purtroppo, dai contorni non ben definiti: per l’8,5 per cento è un giudizio su «come si guida l’auto», per i più esistenziali è su «come si conduce la propria vita». Ma la coscienza critica non finisce lì, per il 43 per cento il ritorno al grembiule è un male perché è «classista», anche se sono sempre gli stessi ragazzi che, alla domanda successiva, spiegano che in passato il grembiule era un modo «per non creare discriminazioni». Un’incoerenza che fa sorridere, rispetto a chi crede (uno su sei) che il grembiulino fosse usato per «militarizzare la scuola». Vedi un po’ l’ideologia che scherzi tira. C’è chi non la nasconde: sciopera perché «la riforma è della Gelmini». Ma poi, «chi è ’sta Gelmini, tu lo sai?».

E di preciso, «di che riforma stiamo parlando?» si chiedeva ieri un gruppo di studentesse del liceo Parini di Milano, quello della mitica Zanzara. Punte sul vivo, non hanno fatto una piega. «Ah, lo sciopero è venerdì? Allora weekend lungo». E vai. In corteo, o al mare. Sempre meglio che studiare.

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