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Se ai lombardi è vietato parlare di Sud

Il leader Mpa Lombardo attacca i "brianzoli" Formigoni e Calderoli che han criticato il nascente movimento meridionalista. Per lui ognuno deve occuparsi delle sue zone. Ma dimentica che don Sturzo da Caltagirone fondò il maggior partito d’Italia

Se ai lombardi è vietato parlare di Sud

Raffaele Lombardo mi sta molto simpatico. Non solo perché è laureato in medicina e chirurgia, e io ho un debole per i camici bianchi. Non solo per la mimica facciale, che lo fa apparire perennemente afflitto e dunque bisognoso di consolazione. È che, a vederlo sempre uguale dentro le sue grisaglie viranti sull’azzurro aviatore, lo diresti più un funzionario di una Ulss del Friuli Venezia Giulia che non il presidente della Regione Siciliana. Uno dei nostri, per chi abita nel Triveneto. E poi le lenti senza montatura: gli ingrandiscono gli occhi, dando l’impressione che al dilatamento dell’iride corrisponda un allargamento del cervello. Delle idee, insomma.

Invece ieri, invitato al Meeting di Rimini, Lombardo s’è fatto interprete di un’idea piccola piccola: quella secondo cui soltanto la gente del Sud può parlare del Sud, la gente del Nord deve starsene zitta. L’Ansa l’ha riportata così: «Mi pare strano che a esprimersi sulla necessità e sulla bontà di un partito del Sud siano dei brianzoli o dei comaschi...». Che, detto da uno che di cognome fa appunto Lombardo, già mette di buonumore. Per chi si fosse perso il prologo dell’irresistibile polemica estiva, va precisato che in tal modo il leader del Movimento per le autonomie ha inteso ribattere «al governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, e al leghista Roberto Calderoli», uno di Lecco, l’altro di Bergamo, i quali «durante la kermesse di Cl si erano espressi contro la prospettiva della costituzione di un partito meridionalista».

Ora, a parte che Lecco fa provincia a sé e ce l’ha a morte con i comaschi e che Bergamo non sta in Brianza, e rammentato al catanese Lombardo che l’attuale presidente del Consiglio, alla cui elezione egli ha fattivamente contribuito, è a tutti gli effetti un brianzolo, trovandosi Arcore nella provincia di Monza e Brianza, bisogna riconoscere che il principio (politico? giuridico? antropologico? razziale?) fissato dal governatore siciliano è assai innovativo. Per fortuna giunge soltanto nel terzo millennio. Applicato a don Luigi Sturzo avrebbe probabilmente privato l’Italia del Partito popolare e della Democrazia cristiana. Non si vede infatti a quale titolo un tizio di Caltagirone, quindi catanese come Lombardo e per di più prete, potesse arrogarsi il diritto di dire la sua sulla costituzione di un partito nazionale, cioè nordista e sudista insieme.
Sbaglio oppure l’Mpa s’è alleato fin dal 2006 con la Lega di cui fa parte Calderoli e nel 2008 s’è coalizzato col Popolo della libertà di cui fa parte Formigoni proprio per porre fine alla conflittualità tra Nord e Sud? Come intende perseguire lo scopo? Togliendo agli alleati il diritto di parola?

Più in generale, ampliando il teorema etnico del presidente della Regione Siciliana, mi pare strano che a esprimersi talvolta sulla bontà del «ripiddu nivicatu» e della pasta alla Norma sia quell’impunito di Edoardo Raspelli, nato a Milano e residente a Bresso. O che a dirigere per lungo tempo la sede Rai di Palermo sia stato, prima di guidare per tre volte il Tg1, quel polentone di Albino Longhi, che è di Mantova. O che il Corriere della Sera abbia affidato a Gian Antonio Stella, cresciuto sull’altopiano di Asiago, il compito d’occuparsi a tempo pieno degli allegri sperperi della Trinacria: il quotidiano di via Solferino non poteva lasciare la pratica all’inviato speciale Felice Cavallaro, di stanza a Palermo, la città che gli ha dato i natali?
Gravi cose accadono sotto la volta celeste. Esempio: non le sembra intollerabile, caro Lombardo, che sia il regista Alberto Sironi, originario - pensi un po’ - di Busto Arsizio (Varese), a girare Il commissario Montalbano e che a prestare il viso al perspicace ispettore siciliano sia Luca Zingaretti, un romano? Dev’esserci di mezzo una congiura ordita dalla Rai, che resta pur sempre acronimo di Radiotelevisione italiana. Le confesso che ne ho visto per la prima volta, e per sbaglio, mezza puntata l’altra sera. Il gioco delle tre carte, mi pare s’intitolasse. Mi tolga una curiosità: ma è quella lì, descritta da un romanziere nativo di Porto Empedocle (Agrigento), mica di Lecco o di Bergamo, la Sicilia che vi sta a cuore, che vi rappresenta meglio? Per un quarto d’ora abbondante ho assistito alle evoluzioni della moglie di un latitante, una coscialunga non saprei se meglio carrozzata sul davanti o sul didietro, che faceva di tutto per sedurre il commissario e un suo collega poliziotto. E fin qui siamo nello standard televisivo (e non solo), direi. È che i due, a un certo punto, convenivano sul fatto che certe siciliane, c’è poco da fare, sono «femmine da letto». Un concetto che a noi, tiepidi nordisti, con l’andare degli anni magari è sfuggito, ma che i maschi delle sue parti, se non ricordo male, riassumono con un efficace sostantivo: «Bottane». Guardi, al Meeting di Rimini avrebbe dovuto annunciare un referendum per impedire al suo conterraneo Andrea Camilleri di esprimersi sulla vostra isola, altro che le opinioni di Formigoni e di Calderoli.

E siccome stando alle agenzie Agi e Apicom lei ha messo l’embargo anche alle esternazioni dei veneziani, oltre che dei brianzoli e dei comaschi, sa che cosa penso, onorevole Lombardo? Penso che la più commovente immagine della sua regione resti quella del minatore con le natiche nude, scattata nel 1953 dentro una solfatara da Fulvio Roiter, un veneziano del Lido, l’unico che ebbe il coraggio di calarsi in un girone dantesco fra uomini in perizoma che scavavano la roccia a 50 gradi di temperatura e che non avevano altro modo, per difendersi dal prurito insopportabile della polvere di zolfo, che derubricarsi ogni giorno da uomini a vermi. Penso che la più intrepida prova di coraggio l’abbia data Gianni Zonin, un vicentino di Gambellara, il primo a sbarcare nella sua isola, una dozzina d’anni fa, per coltivare le vigne nella zona che detiene il record italiano di omicidi mafiosi, 25 ogni 100.000 abitanti, in provincia di Caltanissetta, nel triangolo della morte tra Riesi, Butera e Mazzarino, regno del clan Cammarata e, prim’ancora, teatro della faida tra il boss Peppe Di Cristina e i corleonesi, dove da generazioni la parola d’ordine è «ddabbanna», un’espressione di derivazione araba che significa «via, lontano», cioè scappa fin che sei in tempo. Penso che il più efficiente partito del Sud l’abbia già fondato Giovanni Donigaglia, un ferrarese che a 69 anni ogni settimana dalla sua Argenta scende in provincia di Ragusa per tenervi aperta una ditta di ascensori che altrimenti avrebbe già chiuso.

Mi par di ricordare che Vitaliano Brancati, scrittore di Pachino (Siracusa), nel 1930 acquistò dagli eredi di un pittore, o forse vinse a poker, una casa isolata nel verde della campagna trevigiana, a Conche di Zero Branco. Arrivato sul posto, si accorse che i profili dei monti circostanti erano identici a quelli che aveva visto in una provincia della Cina. Scoprì allora che il mondo sta tutto in un metro quadrato. E capì che cos’è davvero importante nella vita: «Approfondirsi dentro di sé».

Ecco, gentile Lombardo, la prossima volta approfondisca anche lei prima di parlare in pubblico.

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