Un'impressionante sequenza di abbagli e malintesi convergenti ha allontanato i cattolici militanti nella Dc dalla loro naturale collocazione a destra e gli avventizi esponenti del partito postfascista dalla vocazione cattolica dichiarata dai fondatori. Di conseguenza la recente storia italiana contempla le disavventure e gli sbandamenti di due partiti posseduti e agitati dall'aspirazione a diventare il contrario del loro ideale: la Dc estenuata dalla suggestione progressista diffusa da Maritain e dai nuovi teologi e An inquinata dal neopaganesimo di Evola e dal laicismo dei neodestri. Ectoplasma dell'aperturismo democristiano, Rosy Bindi obbedisce ai funerei comandi della delusione comunista. Il partito di Gianfranco Fini, gettato al vento il meglio del proprio passato, intanto, rovescia la propria ragion d'essere nel salotto oligarchico e antitaliano. Antagonisti nella chiacchiera futile, la Bindi e Fini recitano due parti in una commedia che celebra il piacere dell'alienazione politica. Nella speculare simpatia per il rigetto dell'ideale, i due sono perfetti emblemi della modernità in cammino verso il nulla. Nel saggio pubblicato da Solfanelli, Vassallo, grazie a una seria riflessione sulle tesi di De Tejada, Sciacca, Del Noce e Innocenti, risale alle fonti dei pensieri incapacitanti che hanno trascinato post-democristiani e post-fascisti nel gorgo delle negazioni convergenti.
E nella ricerca indica i pregiudizi filosofici da confutare se si vuole aprire la strada di una destra italiana affrancata dalla smania di diventare altro da sé.Piero Vassallo «Itinerari della destra cattolica», pag. 160, Solfanelli, Chieti 2010
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