Se uno ha il Ferrari non lo porta all’autolavaggio

Caro Granzotto, lei ci deliziò illustrandoci la fenomenologia della donna modello «Io, màmmeta e tu», però non le pare di prendere un po’ troppo alla leggera, quasi goliardicamente, una storiaccia che ha risvolti politici e istituzionali e che dunque coinvolge l’intero corpo elettorale? Mi piacerebbe leggere da lei un’analisi più approfondita del «Finigate», certo di trovarvi come sempre il tocco di anticonformismo e originalità che contraddistinguono i suoi interventi. Creda, la mia non è una critica, ma un incitamento a un amico, perché tale la considero da suo lettore di lunga data.
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Grazie per l’amicizia e per i suoi apprezzamenti, caro Mombelli, ma gli aspetti politici e istituzionali, per non parlare di quelli etici dell’affare Fini, sono già ampiamente e brillantemente affrontati da una squadra del Giornale che comprende, e scusi se è poco, il direttore e il condirettore. Lasci dunque che io seguiti a dilettarmi della visione antropologica dell’affare in questione, ch’io mi curi dei risvolti minuti, eppure così rivelatori, dei fatti e dei misfatti che storia e cronaca profondono a piene mani. Giusto ieri Vittorio Sgarbi ci ha fornito un’avvincente testimonianza della personalità della signora Elisabetta Tulliani, personalità che si riflette e si compendia nelle brighe per ottenere la tessera del Club Freccia Alata, cioè un privilegio - seppur di serie C - e al tempo stesso uno status symbol diciamo così dei poveri. In genere, questa sorta di arrembaggio ai benché minimi segni distintivi della «persona che conta» è motivato, in certe donne, dalla paura d’esser altrimenti ritenuta una sciacquetta. Credo che anche l’aver voluto trascinare - almeno a quanto assicurano i testimoni - Gianfranco Fini nel negozio dove acquistare il mobilio per l’alloggio monegasco del fratello, non sia dovuto al desiderio di ottenere dall’accompagnatore consigli autorevoli e competenti su cucine e tinelli. Ma per far capire a proprietari, commessi ed eventuali avventori che non avevano a che fare con una cliente qualsiasi, bensì con la compagna della terza carica dello Stato. E dunque schiene piegate, premure, sorrisi e, eventualmente, sconto.
Ne sappiano ancora poco, ma tutto lascia credere che Gianfranco Tulliani sia della stessa tempra della sorella. E, come lei, mosso da un’ambizione di distinguersi, di sfondare, diciamo così, nel mondo dei Vip senza però avere gli ammaestramenti e la misura per potervisi muovere a proprio agio. Preso possesso dell’appartamento in avenue princesse Charlotte, la prima cosa che il giovane Tulliani ha fatto è stata quella di regalarsi una Ferrari. Non esattamente un veicolo da gentlemen, quanto piuttosto da sceicco o da oligarca, ma siccome i gusti son gusti, se si dispone di quattrocento milioni di lire da spendere perché no? Chi possiede una Ferrari ha però il dovere mondano di comportarsi come un proprietario di Ferrari, cosa che invece il Tulliani, per i motivi sopra detti, non ha saputo fare. Talune foto ce lo mostrarono, infatti, affaccendato a dare una lustrata al bolide di Maranello in un autolavaggio, di quelli a gettone. Probabile addirittura che la fidanzata, lì in ghingheri dappresso, aspettasse il momento per passare la pelle di daino, il cui uso è compreso nel prezzo del gettone. Una zoticaggine, una mancanza di savoir vivre che farebbe inorridire anche tipi dalla pelle dura come Fabrizio Corona.

Perché uno può tirarsela da rampante di successo, ma se non si rende conto che la Ferrari è destinata al lavaggio à la main in qualche garage a tre stelle di Montecarlo e se la pulisce da sé in un autolavaggio a gettoni, nulla poi lo distingue dal coatto del Tufello con la sua Polo di seconda mano.

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