L'analisi costo-efficacia è uno strumento utile per valutare l'impatto economico di un' azione. In questo periodo di crisi è opportuno poter stabilire le priorità di intervento rispetto ad una patologia dermatologica, adottando metodi che tengano in considerazione sia il beneficio per il paziente, che le risorse coinvolte. Questi i concetti emersi durante il recente incontro sulle strategie di gestione delle malattie dermatologiche invalidanti, promosso dall'Associazione dermatologi ospedalieri italiani (Adoi). Quando si parla di malattie dermatologiche gravi si fa riferimento alle patologie complesse come la psoriasi, le patologie bollose autoimmuni, gli eczemi ed i tumori cutanei. I centri ospedalieri intesi come hub strategici, assumono un valore sempre più rilevante per la somministrazione di nuovi farmaci ed il management di queste patologie. I pazienti cronici colpiti da malattie dermatologiche complesse richiedono importanti risorse sanitarie, che determinano un forteimpatto sui costi diretti, ovvero costi sanitari, ed indiretti, vale a diresulla perdita di produttività di chi soffre e di chi se ne prende cura. «Una corretta diagnosi ed identificazione dei pazienti suggerisce Patrizio Sedona, direttore della dermatologia dell'ospedale di Venezia e presidente Adoi - è cruciale per decidere i trattamenti più efficaci per i pazienti e più efficienti per il sistema sanitario e la società». La psoriasi è ai primi posti tra le patologie dermatologiche invalidanti. In Italia è la più frequente, con circa 2 milioni e mezzo di casi. Il costo sociale è tra i più alti per la comunità,anche per i disagi psichici derivanti dalla sua stigmatizzazione sociale. «Si stima che il costo annuale per la gestione di questi pazienti sia di circa 9000 euro», afferma Ornella De Pità dell'Idi di Roma ricordando che il decadimento fisico e cognitivo della psoriasi ha valori vicini a quelli dei malati di cancro.
Il 54% dei pazienti è depresso, il 20% ha subito gravi episodi di rifiuto sociale, il 10% sviluppa un desiderio di morte. Una corretta diagnosi, una precoce terapia e la prevenzione delle comorbidità riducono in maniera consistente l'evoluzione verso forme severe».gloriasj@unipr.it
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