La durata del governo Prodi, le sorti del Partito democratico, la leadership di Veltroni, le future alleanze: sul tavolo dello «scalone» si stanno giocando molte partite. Che non riguardano affatto il destino dei pensionati più giovani dEuropa, i nostri. Ieri la patata bollente è stata di comune accordo tolta dal tavolo del Consiglio dei ministri, per evitare uno scontro senza vie duscita. Dunque, se ne sono occupati in pochi e a porte chiuse: Prodi, Letta, i vicepremier Rutelli e DAlema. E poi il titolare dellEconomia Padoa-Schioppa, quello del Lavoro Damiano, e il rappresentante di Rifondazione Paolo Ferrero.
Le versioni che girano sullincontro sono diverse e apparentemente inconciliabili. La versione «riformista» racconta di un Prodi messo alle corde e piegato dalloffensiva congiunta di Rutelli, DAlema e Tps, che «in perfetta sintonia» e con argomenti «sia tecnici che politici» hanno contestato al premier lo «scivolone» del giorno prima. Ossia quel proclama via Tg3 sulla «doverosità» dellabolizione dello scalone, sic et simpliciter.
Proclama successivamente corretto dal comunicato di Palazzo Chigi che parlava di «gradualità», ma sostanzialmente interpretato come un chiaro segnale in positivo mandato alla sinistra dellUnione. E un guanto di sfida lanciato allala opposta, compresi i DAlema e i Rutelli: «Il senso del messaggio prodiano era quello: voglio rispettare il programma, e se qualcuno non ci sta venga allo scoperto e apra la crisi, sapendo che così salta tutto, compreso il Partito democratico e la candidatura di Veltroni. Una mossa abile, che ha spiazzato i riformisti», è la lettura del verde Paolo Cento.
Secondo la versione della sinistra, ieri Prodi non si è affatto allineato ai rigoristi, ma ha promesso a Rifondazione una proposta di «mediazione», che tenga conto del «non possumus» di Bertinotti: tutti gli operai fuori dagli scalini, sul resto si tratta. Ma la preoccupazione nel Prc è forte: «Qui cè chi vuole arrivare alla crisi per metterci fuori gioco», era il grido di dolore degli uomini di Giordano. Convinti che i «riformisti» spingeranno per rendere meno digeribile possibile a sinistra la proposta di mediazione. Restituendo il cerino della rottura nelle mani del Prc, che non lo vuole affatto ma che non può nemmeno accettare di essere battuta sul terreno che ha scelto come sua ultima frontiera. Anche perché il rischio di elezioni lanno prossimo è tuttaltro che escluso, e ognuno vuole arrivarci con le sue bandiere, la sinistra come il Partito democratico.
Nel mezzo cè Prodi, cui spetta lonere di una mediazione difficilissima. «Politicamente non si può reggere senza modificare la Maroni, questo è chiaro anche a chi dice che lo scalone va tenuto», spiega il responsabile economico ds Cabras. Secondo il quale «se la questione viene rinviata alla Finanziaria, trovare unintesa sarà più semplice». Ma Prodi deve decidere se arrivare fino alla fiducia di fine dicembre con la questione pensioni aperta, col rischio di logoramento e di crisi virtuale che comporta, o se porre davanti alla sua maggioranza una mediazione da prendere o lasciare: o la approvate tutti o me ne vado.
Sfida rischiosa, che potrebbe far precipitare la situazione prima delle primarie di ottobre del Pd, bloccando la strada di Veltroni. Il quale infatti, a differenza di DAlema, sulle pensioni tiene toni bassi e non lancia provocazioni a sinistra. Lavora ventre a terra alla sua campagna, per ottenere uninvestitura più forte possibile. Il rischio di candidature alternative si è attenuato: resta lincognita Letta, circolano i nomi di Rosy Bindi e Furio Colombo, si sussurra persino di un Antonio Di Pietro tentato di scendere in pista e scompaginare i giochi del Pd.
Ma il sindaco spera ormai di poter convogliare su ununica lista «forte» a suo sostegno gli altri big, da Rutelli a Bersani fino a DAlema.
Laura Cesaretti
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