Momenti difficili, questi, per le sentinelle dell'antirazzismo. Momenti di crisi emiplegica, diremmo. In località Zelo Surrigone (Abbiategrasso), tre ragazzini, bianchi e sui dodici anni, hanno fatto a botte con un coetaneo cubano che nel corso della colluttazione s'è preso dello sporco negro e anche peggio. E subito s'è levato l'indignato grido di dolore per una Italia dove anche i minorenni sono razzisti, dando ovviamente per scontato che la scazzottata in questione fosse «di evidente matrice razzista». Di contro e nello stesso giorno, nelle acque del Lago di Iseo un eroico connazionale rischia la vita per salvare (col concorso di una turista tedesca) dallannegamento due negretti, se si può dir così, due bambini di origine africana (uno dei quali è poi morto in ospedale). Dimostrando nei fatti che va là, vero niente che gl'italiani sono tutti razzisti. Magari uno avrebbe potuto pensarlo perché qualche giorno fa a Livorno un duecento energumeni di nazionalità italiana hanno prima braccato e poi tentato di conciare per le feste (sfiorando il linciaggio) due adulti di nazionalità romena che nel corso dell'azione si sono presi del romeni di m... e anche peggio. Uno Zelo Surrigone all'ennesima potenza, si sarebbe pensato. E invece no. Come ha voluto mettere in chiaro il primo cittadino, il diessino Alessandro Cosimi, l'eventuale «lettura che viene data dei livornesi razzisti è sbagliata», aggiungendo (...)
(...) che la rissa si sarebbe accesa anche se al posto dei due romeni ci fossero stati due francesi. E questo perché Livorno è città storicamente di sinistra e, in quanto tale, per convenzione e luogo comune immune dal demone del razzismo. Prerogativa che Abbiategrasso e circondario non può vantare essendo quella una competenza pidiellina e quindi esposta, secondo i criteri «sinceramente democratici», alle nefaste influenze della reazione e dunque anche del razzismo.
A confondere ancor più le idee ci si è messo il sindaco di Firenze, quel Matteo Renzi sul quale le forze sane della sinistra fanno tanto affidamento per un riscatto, ma basterebbe anche un risveglio, del Partito democratico. Egli ha infatti reso esecutivo lo sgombero di un campo rom dove avevano eletto domicilio anche certe brigate nordafricane, uniti gli uni e gli altri in quel simpatico multiculturalismo che oggidì va per la maggiore. L'operazione di polizia, che fino a oggi era bollata, vedi quante glie ne hanno dette a Sarkozy, come una delle forme più bieche di razzismo militante è stata invece riqualificata dal Renzi quale «intervento umanitario» ed è pacifico che dove affiora l'umanità scompare il razzismo.
Chi ci capisce più niente? Chi oggi può dire con sicurezza in cosa consiste la nota «matrice razzista» se ciò che era razzista ieri oggi è umanitario? E se basta la residenza giusta per essere affrancati dal sospetto di nutrire sentimenti poco amichevoli (che possono giungere fino al tentativo di linciaggio) nei confronti del romeno o dell'extracomunitario? Da un sommario esame dei recentissimi fatti di cronaca si evincerebbe dunque, ma aspettiamo un lodo di democratica autorevolezza che lo attesti, che non dalla natura dell'episodio, non dalle pulsioni degli attori o dalle espressioni denigratorie pronunciate, ma dalla localizzazione territoriale emerge il distinguo tra un caso di razzismo e un intervento umanitario o un comune alterco sfociato in rissa con botte più o meno da orbi. Lo sgombero d'un campo di zingari se effettuato nella Roma di Gianni Alemanno è razzismo. Se nella Firenze Matteo Renzi, un'opera misericordiosa. Poiché verificatasi a Zelo Surrigone, quella che ha visto coinvolti quattro ragazzini uno dei quali di colore non può limitarsi a essere un semplice banale e consueto accapigliamento fra pischelli che finisce con un occhio nero. È aggressione di matrice razzista. Quello invece avvenuto a Livorno e che ha coinvolto centinaia di persone, due delle quali romene, invece sì. Escluso categoricamente che vi serpeggiasse il razzismo, la caccia all'uomo fu e resta un fatto di cronaca come tanti, riprovevole ma privo della «matrice» che muove alla civile e democratica indignazione.
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