Se l’attesa al pronto soccorso si trasforma in un’«agonia»

Se l’attesa al pronto soccorso si trasforma in un’«agonia»

(...) Ma nessuno si degna di dare attenzione a quella persona, seduta un sala di attesa, con un fortissimo eritema che le ha provocato piaghe sulla testa e sul collo.
«Non c’è tempo - tuona il dottore di turno all’interno della sala 1 - i codici bianchi vanno in fondo alle chiamate. Prima ci sono tutti gli altri e se c’è tempo guardiamo anche loro». Nella sala d’attesa il brusio però si fa forte. «Ma non abbiamo tutti gli stessi diritti? - si chiedono i pazienti - È vero che, per carità, i codici rossi hanno diritto di precedenza, ma tra un codice giallo e uno verde, che proprio in pericolo di morte non sono, una sbirciatina a un codice bianco bisognerebbe anche darla». Niente, il medico è risoluto.
E lì, seduta sulla sedia della sala d’aspetto, come Forrest Gump, aspetta una chiamata che stenta ad arrivare. E, nel frattempo, si avvicinano tutte le persone che arrivano o che aspettano i propri cari ricoverati all’interno delle cinque sale del pronto soccorso. E come dice un antico proverbio «quando si porta la propria croce in piazza si scopre che altri ce l’hanno più grossa».
Una signora che ha la mamma su una barella, racconta che è infartuata da tre giorni e che il medico di base non le aveva riconosciuto l’infarto, ma che l’insufficienza respiratoria era, secondo lui, dovuta ad una ricaduta della broncopolmonite. Dopo tre ore il verdetto è quello di portarla al settimo piano del Monoblocco. Poi un ragazzo che alle 18.30 è arrivato al Pronto soccorso perché gli è scoppiato un tubo del lavandino sulla faccia e, dopo essere stato visitato e andato in Oculistica, aspettava solo il responso di che collirio poter comprare per il suo occhio che gli bruciava da morire. Ma niente.
I computer a San Martino non si parlano e solo alle 23.30 viene richiamato nella sala 1 e rimandato in Oculistica. Chissà che questa volta non esca con il suo collirio in mano. Ma intanto la mamma sospira: «Eh! A quest’ora che farmacia troviamo aperta per comprarlo?». E intanto per il codice bianco con il forte eritema sono passate tre ore e nessuno che abbia dato un cenno di averla vista, di dire che cosa le sia successo o cosa prendere per lenire il forte prurito e bruciore che le pustole le provocano dalla testa ai piedi.
Poche barelle lasciate abbandonate nel corridoio. Chi da solo, chi con amici e parenti intorno. Si parte alla volta delle informazioni. «Ci dispiace - dicono gli infermieri - ma dipende tanto dai medici di turno. Se ne trova uno di buon cuore la guarda altrimenti no». Ma che discorsi sono?
Il Pronto soccorso non deve essere fatto dal buon cuore dei medici, ma dalla professionalità di visitare tutti i pazienti che ci vanno! «Che lascino almeno una sala solo per i codici gialli e bianchi, così smaltirebbero anche più persone e se c’è necessità passano i rossi». Ma niente.
Le ore passano, lunghe e interminabili tra quelle pareti bianche e quelle sedie di ferro scomodissime turchesi. Medici, infermiere e barellisti si alternano all’entrata e all’uscita delle sale. Nessun cenno che faccia intendere che si può entrare. Quel nome non viene chiamato. Un camionista con una guancia come un procione dal mal di denti arriva all’una di notte.
«Sei un codice bianco?» chiede. «Sì sono qui dalle 20.12, come da foglio dell’accettazione». «Ah! Allora è inutile che io stia qui.

Volevo solo qualcosa per far calmare il mio mal di denti». E il codice bianco, sconsolato, oramai solo all’interno della sala d’aspetto, all’1.40 lascia l’ospedale con lo stesso dolore e lo stesso prurito di quando è entrato.

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