Chi vede che cosa sta facendo Israele ad Haiti, resta a bocca aperta: non c’è mezzo di comunicazione di massa, non c’è rappresentanza diplomatica che non abbia lodato il lavoro di quei volontari che non dormono e salvano vite a catena, e che lo fanno al massimo della competenza scientifica e umana. Ma non illudiamoci: non ci vorrà molto perché Cnn, Sky News, Cbs e tutte le tv internazionali, accusino di nuovo Israele di essere un Paese crudele, violatore di diritti umani, oppressore, assassino di bambini. Loro lo sanno, ma seguitano a lavorare fra le rovine e nell’ospedale da campo.
«Loro» sono i duecentoventi medici e paramedici israeliani, fra cui molti soldati, che sono arrivati per primi sull’isola distrutta, hanno cominciato a scavare e non hanno ancora smesso, hanno messo su un ospedale da campo che non sgarra di un millimetro dai migliori standard internazionali; a questo ospedale si rivolgono tutti i Paesi che cercano con buona volontà, ma in grande confusione (prima di tutto gli Stati Uniti), di portare aiuto ai terremotati. «Solo gli israeliani sono riusciti a portare velocemente un’assistenza avanzata», ha detto alla Cnn la dottoressa Jennifer Furin della Harvard Medical School.
Fra gli israeliani ci sono cinquanta ragazzi specializzati nell’estrarre sopravvissuti dalle rovine: ancora ieri hanno salvato due fratellini, e hanno strappato dalla morte più orrida decine di feriti e moribondi. Gli israeliani curano 500 persone al giorno, si sono portati da casa le migliori macchine salvavita, possono affrontare operazioni difficili, hanno fatto partorire con successo sei puerpere salvando tutti i neonati, persino due prematuri. La tv ha detto che l’ospedale degli israeliani è la Rolls Royce dei soccorsi umanitari a Haiti, ma in realtà è il dono amoroso di un popolo di soli sette milioni di abitanti, certo non ricco e sempre in pericolo; che, come ha detto la Cnn, in genere pessima su Israele, «è arrivato qui dall’altra parte dell’oceano». Perché lo fa? Perché sa che la vita umana non ha prezzo, come invece sembrano pensare in tanti fra quelli che hanno risparmiato, per esempio i Paesi petroliferi.
Qualcuno ironicamente ha scritto che si tratta di «un impegno sproporzionato», come era stata definita «sproporzionata» la guerra contro Hamas per difendere la vita dei cittadini israeliani colpiti dai tredicimila missili. Ma sproporzionati questi impegni non sono né l’uno né l’altro, bensì collegati l’uno all’altro. Solo chi sa che cosa significa dover difendere la vita giorno dopo giorno sa che cosa vale ed è in grado di farlo come si deve. E guardando un po’ più lontano, solo un popolo che per un lungo periodo, durante la Shoah, ha visto i suoi membri privati del loro nome, della famiglia, della loro umanità, sa che ogni vecchia donna di Haiti, ogni giovane colto nel pieno della sua gioia di vivere, ogni neonato in pericolo, somigliano a quegli esseri umani allora investiti dall’orrore.
Ma al di là delle ragioni morali, come fa Israele a essere così preparato scientificamente, ordinato e instancabile? L’ha spiegato Bill Clinton, inviato ad Haiti per l’Onu: «La tanta esperienza sul campo di battaglia gli ha insegnato a costruire magnifici ospedali da campo, e gli sono grato per questo».
Anche il terrorismo è stato maestro di velocità, scientificità, precisione. Durante l’Intifada il dottor David Applebaum, un medico dell’ospedale di Gerusalemme «Hadassa», venne ucciso da un terrorista suicida al caffè Hillel insieme a sua figlia Nava che avrebbe dovuto sposarsi il giorno dopo. Con loro finirono a pezzi tanti altri avventori. Il lutto per il dottor Applebaum fu particolarmente amaro: aveva infatti inventato un metodo nuovo per curare a catena i feriti trasportati a dozzine al pronto soccorso sulle ambulanze ogni volta, e capitava tutti i giorni, che un terrorista attaccava i civili israeliani. Il metodo Applebaum è stato copiato in tutto il mondo perché sa affrontare mirabilmente la confusione compiendo un’immediata classificazione della gravità delle ferite e quindi non perdendo un secondo nel salvare la vita e le parti del corpo in pericolo e nell’aiutare psicologicamente i traumatizzati.
È da studi sul campo come quello di Applebaum che Israele ha imparato ad amministrare sul
campo i sentimenti di pietà. Ma non basta. Purtroppo la parabola di Applebaum dice che il prezzo per imparare quest’arte è ed è stato per Israele terribilmente elevato. Sproporzionato.www.fiammanirenstein.it
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