Se partono i girotondi addio al fair play

Caro Granzotto, lei crede davvero che la sinistra abbia capito, o finalmente capisca dopo il 13 aprile, che l’antiberlusconismo non porta a niente, se non a una serie infinita di fallimenti e di sconfitte? Le condizioni per un loro collettivo esercizio di autocritica ci sono tutte e il Partito democratico di Walter Veltroni nasce anche con l’intento di cessare la demonizzazione dell’avversario, tornando a considerarlo un rivale e non un nemico. Eppure qualcosa mi dice che ancora non ci siamo, che i tempi non sono maturi. Lei crede invece che sarà una campagna elettorale diversa, più serena?



Le dico subito, caro Diodonati, che gli stucchevoli appelli ad un confronto elettorale più civile, sereno, beneducato, corretto o garbato, faccia lei, cadranno (stanno già cadendo) nel vuoto. Come è giusto che sia. Perché il punto non è quello, il punto è il «dopo». In tutte le grandi democrazie le elezioni sono pura battaglia, aspra e spesso condotta a forza di colpi bassi. Guardi cosa sta succedendo negli Stati Uniti. D’altronde come si può pretendere che una competizione che ha quella posta in gioco e dove ciò che conta è vincere, imporsi, sia condotta coi guanti bianchi? Per parafrasare il vecchio Mao, la campagna elettorale non è un pranzo di gala. Però, nelle grandi democrazie, a urne chiuse il clima cambia da così a così: deposte le armi, quanto meno quelle contundenti, restano ovviamente le divergenze, ma tenute a briglia corta dalla legittimazione dei ruoli. Chi vince vince e da quel momento è il rispettato capo di una maggioranza che rappresenta il Paese. Chi perde è la rispettata opposizione alla quale si riconosce la salutare prerogativa di manifestare il proprio dissenso ed esprimere le proprie critiche. Insomma, maggioranza e opposizione sono intese come controparti, non come nemici cui seguitare a fare quella guerra senza quartiere che invece trova la sua motivazione in campagna elettorale. Se dunque i richiami ad un confronto politico più civile, corretto, eccetera hanno come esito il riconoscimento dei ruoli, allora ci siamo e sottoscriviamo. In caso contrario è aria fritta, pura gnagnera.
C’è poi l’antiberlusconismo. È pur vero, caro Diodonati, che dalle parti del loft di Piazza Santa Anastasia tira un’aria nuova e che vecchi steccati cominciano a scricchiolare. Ma la così detta società civile, specie quella acclimatatasi nei salotti e nelle terrazze, negli organi di informazione «democratici» e che quando le piglia la fregola fa i girotondi, è capatosta. Da quell’orecchio non ci sente. Anche perché molti degli appartenenti a detta onoratissima società hanno fatto dell’antiberlusconismo una professione (ovviamente retribuita) e a nessuno di loro piace ritrovarsi da un giorno all’altro in braghe di tela. E così, per tenere il ritmo, se ne devono inventare una al giorno.

Ma anche quello è un gioco che per tornar bello deve restar corto, senza dire che dai e dai la sinistra dovrà pur rendersi conto che quello dell’antiberlusconismo è un pessimo investimento. Nell’attesa, possiamo solo seguitare a riscuotere i dividendi della loro isteria: le prossime cedole sono in scadenza il 13 aprile.
Paolo Granzotto

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