Se Pietro Citati dà lezioni di Islam a Oriana Fallaci

Ruggero Guarini

Che cosa possiamo dedurre dal fatto che un uomo colto e fine come Pietro Citati, per contestare i furori anti islamici di Oriana Fallaci, abbia sentito il bisogno di ricordarci di essere tanto più colto e fine di lei tornando a sventolare, su Repubblica di ieri, tutte le sue squisite bandierine islamologiche? E che per dimostrare di essere anche tanto più modesto e umile di lei abbia creduto opportuno osservare che lei ha un ego così grandioso che di qualunque cosa parli e scriva l'argomento è sempre lei stessa? E che sempre al fine di provare che quella volgarissima egocentrica è anche un'ignorantella abbia ritenuto necessario osservare che probabilmente non conosce i sublimi testi della gnosi e della mistica araba?
E che sempre per provare che quella lì, culturalmente parlando, è una povera stracciona, non abbia resistito alla tentazione di mortificarla rivelandole che Cordoba, all'epoca del califfato arabo, fu uno dei luoghi più civili della terra? E che per meglio assestarle il colpo che le ha voluto vibrare abbia avvertito la necessità di tornare a spiegarci che le infamie del terrorismo islamico di oggi non hanno niente ma proprio niente a che fare con la poesia del Corano?
Sarebbe corretto dedurne che le sue bandierine islamologiche sono forse meno convincenti di quelle dei tanti autori a lui cari, da Schopenhauer a Burckhardt e da Canetti a Naipaul, che hanno visto nell'Islam una religione terrificante? E che l'ego di un letterato, anche nel caso che egli sia non solo colto e fine ma anche mite e gentile come Citati, può essere anche più grandioso di quello di una grande giornalista di successo? E che la conoscenza della gnosi e della mistica araba può a volte incoraggiare, anche e forse soprattutto in un eccellente letterato, l'illusione di essere un essere abissale come gli abissi evocati in quei testi?
E che attribuendo alla fede maomettana il merito degli splendori della Cordoba dell'epoca del califfato dimostra di essere disposto a ritenere che gli splendori del Rinascimento (sebbene nei Vangeli non si parli mai di arte, letteratura, musica, filosofia e simili, il che lascia supporre che Gesù non desse a quelle cose troppa importanza, e forse le riteneva opere del demonio) siano un'espressione o un effetto della buona novella evangelica?
Mentre col dovuto rispetto ci poniamo questi modesti interrogativi aspettiamo fiduciosi il giorno in cui Citati, in uno dei suoi saggi islamologici, riuscirà a sfoggiare tutto il suo virtuosismo ermeneutico nel nobile tentativo di dimostrare la sublimità mistica e gnostica di questi celebri motti del Profeta, tutti tratti dall'ottava e nova sura del Corano: «Ecco, sto per gettare il terrore nel cuore dei miscredenti: decapitateli e mozzate loro le dita... Questo dovranno soffrire, perché essi si sono opposti ad Allah, e chiunque si oppone ad Allah e al suo profeta deve sapere che Allah sarà terribile nel castigarlo... Allah sconfessa gli infedeli e li sconfessa anche il Profeta... Pentitevi, dunque, sarà meglio per voi... Castighi atroci Egli annuncia ai miscredenti... Ammazzateli dovunque li troviate... Assediateli, catturateli, fateli cadere negli agguati... Combatteteli fino a che non si siano sottomessi, e non abbiano pagato, uno ad uno, la tassa...».
Buon lavoro, gentile Citati.
guarini.

r@virgilio.it

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