Il mio primo lavoro è stato lo spedizioniere. Ricordo che, fra il 1961 e il 1966 nel porto di Genova c'era un traffico talmente intenso che una moltitudine di navi doveva attendere in rada, prima di attraccare, perché le banchine non erano sufficienti ad ospitare tutti i mercantili. Si lavorava giorno, notte e tre domeniche su quattro. Oltre alla gran moltitudine di persone che lavoravano all'interno della cinta portuale, si erano incrementate moltissime altre attività collaterali che offrivano occupazione e benessere a molti concittadini. Data la favorevole posizione del nostro porto qualcuno pensava di poter aumentare le tariffe a dismisura.
Purtroppo però questa superficialità, nel tempo, si è rivelata infausta. Non avevano previsto che, da sempre, chi detiene il potere è chi ha il portafoglio più gonfio. Infatti gli armatori, stanchi di subire vessazioni, trasferirono i loro traffici in altri porti. Senza volere si è favorito gli interessi di Savona, La Spezia e soprattutto Livorno. Il lavoro era diminuito così vertiginosamente che la ditta mi aveva coattivamente spostato nella filiale di Milano. L'alternativa era il licenziamento.
Da lì, con sommo rincrescimento, imbarcavo la quasi totalità delle merci ad Anversa e Rotterdam poiché le tariffe ivi applicate erano notevolmente inferiori. Inoltre lì non esisteva l'imbarco «diretto». I camion venivano scaricati in giornata mentre a Genova a volte andavano in sosta con notevoli aggravi di spese. Il problema dei trasporti delle merci è sempre avvenuto (e credo avvenga così ancor oggi) prevalentemente su «gomma» perché le FS non concedevano vagoni merci molto facilmente. Ciò era dovuto alla flemma di alcuni incaricati che, non avendo alcun beneficio economico ad aumentare il loro impegno (tanto la paga era sempre uguale), non contribuivano ad incrementare il trasporto su rotaia. Se non verrà cambiata mentalità il terzo valico non servirà a nulla. Vediamo ora di esaminare le cause del decadimento del nostro scalo marittimo. Le maestranze arrivavano sottobordo mezz'ora dopo e terminavano mezz'ora prima dell'orario stabilito. La squadra a terra, composta da sei uomini, si dimezzava subito. Tre se ne tornavano a casa regolarmente pagati. Se l'armatore non concedeva un extra, il lavoro procedeva con una lentezza esasperante. I furti erano frequentissimi. L'ente gestore del porto svolgeva raramente i dovuti controlli.
Una volta un gruista ha lasciato un cavallo vivo appeso a 20 metri da terra perché era finito il suo turno. Il povero animale è stato fatto scendere in stiva dopo molto tempo da un altro gruista, su pressione dei presenti. Anche gli altri enti incaricati alle pratiche di imbarco, sbarco e guardianaggio offrivano servizi inadeguati. In dogana le lungaggini burocratiche erano esasperanti. Oggi ci è rimasto un porto in agonia.
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