Se la recessione premia il Cavaliere

Vi è nell’intervista del presidente del Consiglio a El Mundo l’affermazione che in Italia la sinistra non ha forza di governo. E il riconoscimento che questo è un problema per il Paese perché un consenso nazionale sulle politiche sarebbe di grande significato nel momento in cui i governi nazionali divengono i responsabili dello stesso sistema finanziario. Ma l’evento italiano ha una sua unicità nel fatto che la sinistra postcomunista, che ha avuto un ruolo così determinante nella storia italiana sino a determinare il riconoscimento della legittimità delle politiche, non è ora in grado di esprimere un candidato alla direzione del Paese. Non si è esaurita soltanto la componente antagonista ma anche quella direttamente riconoscibile nella storia postcomunista, il Ds. Non è un caso che la figura di Dario Franceschini sia qualcosa di più di una reggenza, che sia diventata una nuova legittimità come se fosse possibile che il personale della sinistra storica uscisse dalla porta principale della politica italiana.
Nell’intervista a El Mundo Berlusconi dichiara di non essere di destra e di riconoscersi come un rappresentante della società italiana in quanto diversa dalle tradizioni politiche prevalenti nella politica del Paese. Possiamo comprendere la logica della politica di Berlusconi nel fatto di evocare un popolo diverso dai partiti che nasceva soprattutto dalla crisi del partito cattolico, la Democrazia cristiana che aveva retto il sistema costituzionale italiano dall’avvento della democrazia. La democrazia come movimento popolare si è riconosciuta in una persona. È stata un’invenzione di genio che ha dato alla democrazia italiana un futuro politico diverso da quello di cui la cultura postcomunista era stata il referente fondamentale. Così è quasi patetico pensare che solo i democristiani di sinistra siano le guide e i volti della sinistra italiana, essi che hanno avuto la loro identità riconosciuta proprio da essere legittimati dal Pds nella grande crisi del ’94. La sinistra esiste nel Paese, è radicata nel sociale e nell’istituzionale, non ha più volto politico, non ha più forma di alternativa, non ha più volto di governo.
Quali sono i riferimenti della nuova politica berlusconiana e quali ne sono i valori? Sono i concetti fondamentali del vivere civile e moderno: la nazione e il popolo visti come il fondamento della legittimità della stessa Costituzione.
Berlusconi ha fatto appello all’essere italiani, cioè a un costume sociale, culturale e politico che ha fondamento nel passato e quindi esprime la tradizione al posto della rivoluzione cioè al posto della categoria che ha dominato la politica italiana in tutto il Novecento. Il patriottismo a cui Berlusconi fa riferimento non è il patriottismo della Costituzione ma quello della tradizione cioè della vita profonda del Paese che può comporre in unità sia l’influenza cattolica che quella umanistica in una laicità conforme al sentimento religioso della storia italiana vivente nel cuore degli italiani. Si comprende il valore di principio del riferimento tra il consenso elettorale e il governo del Paese che, nella politica berlusconiana, ha creato opposizione con i poteri di garanzia che l’evoluzione costituzionale ha reso determinanti al prezzo del potere della democrazia.
Quello che si è chiamato «berlusconismo» è in realtà un rinnovamento delle basi politiche della Costituzione. Ed è significativo che ad esso tocchi affrontare ora la crisi unica che tocca il mondo: la crisi del capitalismo finanziario. Se la sinistra comprendesse che il momento di Berlusconi porta in sé una nuova prospettiva per il Paese, uscirebbe dal riferimento alla sua identità come partito della Costituzione, della legittimità repubblicana. Cioè di partito unico, detentore della legittimità politica degli altri partiti. Vi è più nel fatto berlusconiano come realtà che nei partiti che lo sostengono ed è questo il problema che devono affrontare il Pdl e il suo congresso. Se Berlusconi non fosse il presidente del Pdl, non ci sarebbe il congresso del Pdl. E poco importa se sia eletto per acclamazione o da scrutinio segreto. Pensare di tornare al partito delle tessere e dei congressi decisionali diviene più irreale nel momento in cui il governo diviene determinante nella sua azione e questo è sostenuto solo dal consenso del popolo.

E quello che ora accade è un fatto imprevedibile nella storia dei governi: che la grande crisi determini un maggiore consenso a un presidente del Consiglio in carica. E il miracolo accade in Italia oggi e il congresso del Pdl è chiamato a comprendere e a interpretare.

bagetbozzo@ragionpolitica.it

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