Se la Silicon Valley scopre com'è fatto uno sciopero

La contrattazione è blasfemia negli Usa, ma ora i dipendenti di Google marciano per protesta

Se la Silicon Valley scopre com'è fatto uno sciopero

Sulla Quarta strada di San Francisco la rivoluzione suona a colpi di tamburo. Non è tanto perché l'evento sia così straordinario - i dipendenti degli hotel della catena Marriott che protestano da oltre un mese per avere più soldi e più diritti -, ma perché l'eco di quei colpi ritmati colpisce chi di solito non ha orecchie per sentire. Laggiù, nella Silicon Valley, il concetto che un uomo con un solo computer possa rivoluzionare il mondo non è certo cambiato; eppure da un po' di tempo quegli uomini, e quelle donne, sono entrati in connessione, come se i gangli della Rete avessero risvegliato una coscienza al di fuori di internet. E così è capitato che a fianco della working class più disperata che lotta perché «un lavoro sia abbastanza», siano scesi a camminare fianco a fianco anche alcuni dipendenti di Google. Stand up for your right!, e la notizia in America è che quei diritti appartengano a una comunità intera, laddove l'individualismo è la Guida suprema.

Union. La parola evoca feroci battaglie e rivoluzioni social in un Paese in cui ancora un secolo fa qualsiasi idea di Statuto dei lavoratori veniva contrastata con l'esercito. Come quando seimila minatori del West Virginia convinsero il presidente Harding a spedire i militari per sedare ogni rivendicazione con la forza: la libera contrattazione non prevedeva diritti comuni, perfino il picchettaggio di due operai davanti a una fabbrica veniva condannato dalla Corte suprema come «pattugliamento». D'altronde, disse molti anni dopo il cofondatore di Intel Robert Noyce, «i sindacati sono una minaccia per la nostra esistenza». Perché la storia racconta che caduto il muro dell'ostracismo e nonostante le grandi vittorie della seconda parte del Ventesimo secolo, negli Usa i mattoni della contrattazione comune sono spesso ancora da assemblare. E qui sta il legame tra la Rivoluzione industriale e il Rimescolamento tecnologico. Tra la profondità di una miniera e i giardini sospesi della Silicon Valley. Dove costruire il futuro è un privilegio che non prevede distrazioni. Eppure...

Nella valle oltre San Francisco, nel Ground Zero della solitudine, qualcosa si è mosso. Nel tempio moderno di Mountain View, la sede di Google, a un certo punto è sorta l'esigenza di un walkout, la camminata di protesta proprio come quella che per oltre un mese ha riunito la sottoclasse del Marriott.

Le notizie di cronaca - ovvero che l'azienda avesse collaborato col Pentagono e che stesse programmando un social network per la Cina debitamente censurato - hanno aperto le porte alla contestazione. E soprattutto: lo scoop del New York Times, secondo il quale l'azienda avrebbe liquidato con novanta milioni di dollari un manager che si è dimesso dopo avere ricevuto accuse di molestie sessuali, ha risvegliato le coscienze. Ma più che un «me too» è diventato un «they too». Anche loro. Possono.

Non è solo una questione di democrazia. A Google, e in tutte le grandi Tech Companies, sostengono che non ci sia nulla di più democratico dell'essere Uno. Un dipendente, per dire, può contestare durante una riunione una decisione di un superiore con l'obbligo di ottenere una risposta; oppure proporre idee o petizioni sulla piattaforma interna, che poi verranno considerate a seconda dei voti ricevuti dai colleghi. È la democrazia dei like, che non ammette rappresentanza: un uomo, un computer, una start up, possono cambiare il mondo. Inutile mettersi in mezzo, perché - come dicono da quelle parti - «il potere è tutto dentro di te, se sei qui solo per il denaro la porta è quella». Però, invece, i risultati di tutta questa libertà sono conti alla mano inapprezzabili: è raro che quelle contestazioni, idee, petizioni portino a cambiare i Piani Superiori. E qualcuno comincia a farsi delle domande, tanto che è sorta un'organizzazione - rigorosamente via web - che cerca di educare i lavoratori delle aziende tecnologiche a reclamare i propri diritti, compreso quello appunto di avere una voce comune. «Un anno fa, un memo di un impiegato che asseriva l'inferiorità delle donne in campo tecnologico ha scatenato un violento dibattito interno - ha raccontato al New York Times il fondatore di CoWorker.org -; quando l'azienda ha ceduto, licenziando quell'uomo, improvvisamente ci si è resi conto che la voce collettiva ha un grande potere. E qualcosa è cambiato». I giardini sospesi sono scesi sulla terra. E si sono riempiti di gente.

Così, sulla Quarta strada di San Francisco i tamburi ora hanno un suono diverso: le cronache dell'ultima ora dicono che i colleghi dei Marriott di San José hanno già ottenuto un accordo chiudendo i picchetti, e tra poco anche lì tutto

potrebbe finire. Tra una città e l'altra però, c'è in mezzo quella valle che da sempre guarda un po' a se stessa e dove invece qualcosa di nuovo potrebbe essere cominciato. In fondo, si tratta solo di imparare a camminare.

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