Se la sinistra fa scempio delle regole

Nella passata legislatura, quando stava all’opposizione, il centrosinistra ha tentato in tutti i modi di mettere in croce l’allora presidente del Senato Marcello Pera. E perché poi? Perché non sarebbe stato sufficientemente imparziale. Ora la cosa è tanto poco vera che fu proprio Pera a proporre incisive modifiche al regolamento del Senato volte - tra l’altro - a dare maggiori garanzie all'opposizione. Ma fu proprio quest’ultima, vai a capirne il motivo, a mettersi di traverso. Perciò non se ne fece nulla. La verità è che si voleva intimidire il presidente, quasi che fosse un don Abbondio qualsiasi. Ora che invece sulla poltrona più alta di Palazzo Madama siede Franco Marini, che non è Francesco, il centrosinistra non ha nulla da ridire. Di più, considera le sue incredibili decisioni un po’ come il rancio militare: ottime e abbondanti. E allora, tanto per cominciare, diciamo subito che il portone di Palazzo Madama è stato chiuso a doppia mandata e si sono buttate via le chiavi. Una esagerazione? Nemmeno per sogno. Basta fare due conti per rendersene conto. Nei primi quaranta giorni del governo Prodi, quando tra potere esecutivo e potere legislativo dovrebbe sbocciare la luna di miele, il Senato si è riunito appena cinque volte. Mentre nei primi quaranta giorni del governo Berlusconi le sedute del Senato sono state ben quattordici. Ma stavolta Prodi a Palazzo Madama si regge con lo sputo, data la risicatissima maggioranza. Perciò si sta facendo di tutto per non disturbare il manovratore. Non a caso le teste fini dell’Unione, a cominciare da Giuliano Amato, sono all’opera. Si pensa di ricorrere a fonti sublegislative, come i decreti ministeriali e i regolamenti. Ma quest’arma è pressoché spuntata, perché le riserve di legge contenute nella Costituzione sono infinite e insuperabili.
Ma l'importante è che si voti il meno possibile, dato che la semplice assenza di appena un paio di senatori a vita manderebbe a gambe all’aria questo bel gabinetto. E così al Senato il governo ha dimostrato nei giorni scorsi come ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Ha posto la questione di fiducia su maxiemendamenti sostitutivi dei due disegni di legge di conversione di decreti. Con il risultato che l’istruttoria legislativa da parte delle commissioni competenti è andata a farsi benedire. La situazione è grave, dunque. Ma non è seria. La prova? In quel libro dei sogni che è il programma dell’Unione, un polpettone di 281 pagine assolutamente indigesto, sta scritto che il centrosinistra vuole «una migliore regolamentazione della questione di fiducia, con la previsione di specifici limiti al suo esercizio».
È accaduto l’esatto contrario. La spudoratezza è arrivata al punto che il governo nel maxiemendamento al decreto mille proroghe non solo ha riaperto svariate deleghe, ma addirittura ne ha aggiunte altre ancora. Una vera e propria manomissione delle regole del gioco. Così, con un solo voto fiduciario, il governo potrà adottare a bizzeffe decreti legislativi integrativi e correttivi delle riforme del governo Berlusconi. Che verranno bellamente mandate al macero senza che il Parlamento possa più mettervi bocca. Ma i guai, si sa, non vengono mai da soli. Anche il presidente del Senato ci ha messo del suo. Non ha censurato il deplorevole comportamento del governo. Non ha concesso la parola per richiami al regolamento e sull’ordine dei lavori. E per soprammercato ha cestinato senza una plausibile ragione le questioni sospensive e pregiudiziali presentate dalla Casa delle libertà. A tal riguardo non c’è precedente o arzigogolo regolamentare che tenga. Le suddette questioni andavano discusse e votate prima del voto di fiducia in quanto preliminari. L’adagio popolare dice che sbagliando s’impara. Macché. Marini è la dimostrazione vivente che sbagliando s’impera.

Ma ci domandiamo: fino a quando?
paoloarmaroli@tin.it

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