Marco Travaglio è un professorino del giornalismo. Dà le pagelle a tutti i colleghi e vigliacco che uno prenda almeno una volta la sufficienza. Si è autonominato erede di Montanelli, con il quale millanta una lunga frequentazione, quasi fossero padre e figlio, fin da quando lavorava per Il Giornale del quale era, pagato da Berlusconi, vicecorrispondente da Torino, cioè nulla. I miei colleghi più anziani del Giornale non ricordano di averlo mai visto una volta nella redazione centrale e scommettono che Montanelli non sapeva neppure chi fosse. Quando Indro ebbe la sciagurata idea di mollare la sua creatura per fondare La Voce , Travaglio lo seguì, «uno dei tanti, nulla di più», ricordano oggi i compagni di avventura rimasti sulla strada.
A parte questa piccola mitomania, di Travaglio giornalista non si ricorda nulla. Ha avuto più fortuna con le carte giudiziarie
trasformate in libri, grazie ai quali ha fatto soldi e raggiunto la
fama. Ieri ha stroncato pure Giuliano Ferrara e il suo ritorno in
tv da lunedì, ogni sera dopo il Tg1. Egocentrico e invidioso,
Travaglio ha sentenziato che Ferrara non è un giornalista. La prova? Il Foglio , quotidiano diretto da Ferrara, vende poche copie, molte meno del suo Il Fatto. Sai che ragionamento. È come se il proprietario di un sexy-shop si vantasse di avere più clienti di una galleria d’arte.
Per curiosità, siamo andati a vedere come sono finiti gli scoop di
Travaglio campione di giornalismo senza macchia. Ecco un elenco,
probabilmente incompleto, delle sue prodezze. Salvo errori ed
omissioni, la situazione è questa (il voto lo lasciamo a voi lettori).
Nel 2000 è stato condannato in sede civile, dopo essere stato citato in giudizio da Cesare Previti a causa di un articolo su L’Indipendente , al risarcimento del danno quantificato in 79 milioni di lire.
Il 4 luglio 2004 è stato
condannato dal Tribunale di Roma in sede civile a un totale di 85.000
euro (più 31.000 euro di spese processuali) per un errore di
omonimia contenuto nel libro La repubblica delle banane
scritto assieme a Peter Gomez e pubblicato nel 2001. In esso, a pagina
537, si descriveva «Fallica Giuseppe detto Pippo, neo deputato Forza
Italia in Sicilia», «commerciante palermitano, braccio destro di
Gianfranco Miccichè... condannato dal Tribunale di Milano a 15 mesi
per false fatture di Publitalia. E subito promosso deputato nel
collegio di Palermo Settecannoli ».L’errore era poi stato
trasposto anche su L'Espresso , il Venerdì di Repubblica e La Rinascita della Sinistra , per cui la condanna in solido, oltreché su Editori Riuniti, è stata estesa anche al gruppo Editoriale L’Espresso.
Il 5 aprile 2005 è stato
condannato dal Tribunale di Roma in sede civile, assieme all’allora
direttore dell ’Unità Furio Colombo, al pagamento di 12.000 euro
più 4.000 di spese processuali a Fedele Confalonieri (presidente
Mediaset) dopo averne associato il nome ad alcune indagini per
ricettazione e riciclaggio, reati per i quali, invece, non era
risultato inquisito.
Il 20 febbraio 2008 il Tribunale di Torino in sede civile lo ha condannato a risarcire Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, con 6.000 euro, a causa dell’articolo «Piazzale Loreto? Magari» pubblicato nella rubrica Uliwood Party
su l’Unità il 6 luglio 2006
Nel giugno 2008 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile,
assieme al direttore dell’ Unità Antonio Padellaro e a Nuova
Iniziativa Editoriale, al pagamento di 12.000 euro più 6.000 di spese
processuali per aver descritto la giornalista del Tg1 Susanna Petruni
come personaggio servile verso il potere e parziale nei suoi resoconti
politici: «La pubblicazione- si leggeva nella sentenza - difetta
del requisito della continenza espressiva e pertanto ha contenuto
diffamatorio ».
Nel gennaio 2010 la Corte d’Appello penale di Roma
lo ha condannato a 1.000 euro di multa per il reato di diffamazione
aggravato dall’uso del mezzo della stampa, ai danni di Cesare Previti. Il reato, secondo il giudice monocratico,
sarebbe stato commesso mediante l’articolo «Patto scellerato tra
mafia e Forza Italia» pubblicato sull’ Espresso il 3 ottobre 2002. La
sentenza d’appello riforma la condanna dell’ottobre 2008 in primo
grado inflitta al giornalista ad 8 mesi di reclusione e 100 euro di
multa. In sede civile, a causa del predetto reato, Travaglio era
stato condannato in primo grado, in solido con l’allora direttore
della rivista Daniela Hamaui, al pagamento di 20.000 euro a titolo
di risarcimento del danno in favore della vittima del reato Cesare
Previti. Pochi giorni fa, in attesa della
sentenza di Cassazione, il reato è caduto in prescrizione grazie ad una
inspiegabile lentezza dei giudici a scrivere le motivazioni.
Il 28 aprile 2009 è stato condannato in primo grado dal Tribunale penale
di Roma per il reato di diffamazione ai danni dell’allora direttore
di Raiuno, Fabrizio Del Noce, perpetrato mediante un articolo
pubblicato su l’Unità dell’11 maggio 2007.
Il 21 ottobre 2009 è stato condannato in Cassazione ( Terza sezione
civile, sentenza 22190) al risarcimento di 5.000 euro nei confronti
del giudice Filippo Verde che era stato definito «più volte inquisito e
condannato» nel libro Il manuale del perfetto inquisito ,
affermazioni giudicate diffamatorie dalla Corte in quanto riferite
«in maniera incompleta e sostanzialmente alterata» visto il «mancato
riferimento alla sentenza di prescrizione o, comunque, la mancata
puntualizzazione delcarattere non definitivo della sentenza di
condanna, suscitando nel lettore l’idea che la condanna fosse definitiva (se non addirittura l’idea di una pluralità di condanne)».
Il 18 giugno 2010 è stato condannato dal Tribunale di Torino- VII
sezione civile a risarcire 16.000 euro al presidente del Senato Renato
Schifani ( che aveva chiesto un risarcimento di 1.750.000 euro) per
diffamazione, avendo evocato la metafora del lombrico e della muffa a
Che tempo che fa il 15 maggio 2008.
L’11 ottobre 2010 Travaglio è stato condannato per diffamazione dal Tribunale di Marsala, per aver dato del figlioccio di un boss all’assessore regionale siciliano David Costa, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e successivamente assolto in forma definitiva. Travaglio è stato condannato a pagare 15.000 euro.
Dal 2004 è stato oggetto di un procedimento penale per il reato di
diffamazione aggravata dal mezzo della stampa, a seguito degli
articoli «M’illumino d’incenso»e«Zitti e Vespa», pubblicati sul
quotidiano l’Unità nei giorni 12 marzo e 6 maggio di quello stesso
anno.
Il procedimento ai danni del giornalista si è concluso nel 2008
dopo che la persona offesa, il giornalista Antonio Socci, ha deciso di
rimettere la querela a seguito delle scuse pubbliche di Travaglio.
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