Seat, l’ex stella del web schiacciata dal debito

Essere leader nella creazione di siti Internet raccogliendo pubblicità e distribuendo 53 milioni di volumi che contengono indirizzi per tutte le maggiori città italiane, a volte risolutivi come quello dell’idraulico, non bastano più a Seat Pagine Gialle per sopravvivere. Ieri i conti dei primi sei mesi dell’anno, complice la crisi, hanno messo in luce una situazione a dir poco difficile dato che la società è oberata da quasi 2,7 miliardi di debito.
Ma i ricavi, in calo del 6,3% a 433,2 milioni, non aiutano e le perdite sono cresciute del 24,2%, a 32,6 milioni di euro, mentre nello stesso periodo del 2010 il rosso si era fermato a 8,4 milioni. In discesa anche il margine operativo lordo, del 3,4% a 175 milioni, e l’indebitamento che è ora pari a 2,68 miliardi, in calo di 48,5 milioni. Però non basta, dato che la società è strozzata dai debiti contratti dai suoi stessi soci che hanno fatto un uso indiscriminato della leva finanziaria. In pratica i fondi di private equity Cvc, Permira e Investitori associati, ai quali fa capo il 49,5% del capitale, comperarono Seat da Telecom nel 2003 per circa 960 milioni in contanti e 2,2 miliardi in prestito (le banche più esposte sono Royal Bank of Scotland, Unicredit e Bnp Paribas) ma si distribuirono anche un dividendo straordinario pari a 2 miliardi di euro. Il gioco poteva reggere nel caso di mercato in rapida crescita ma, a causa anche della crisi, i ricavi della società stentano a decollare nonostante la forte presenza sul web e la realizzazione per piccole e medie imprese di siti Internet: ben 80mila solo lo scorso anno.
Un numero certamente elevato, ma non abbastanza per produrre utili in rete. Basta pensare alle cifre monstre di Google e Facebook: il primo vanta oltre un miliardo di utenti unici e il secondo, ormai, lo segue a ruota.
In realtà Seat è una società che ha, per così dire, vissuto in prima linea tutte le promesse e poi le sconfitte della new economy. Basta pensare che il titolo, nel 2000, valeva 7 euro ed era, dopo la fusione con Tin.it (il portale di Telecom) e poi con Tmc, ossia Telemontecarlo (oggi La7), paragonata a quella Time Warner che dopo la fusione con America Online si preparava alla conquista del web. Ma anche quell’operazione non fu certo un successo. In ogni caso, il risultato di quel passo azzardato da parte della Telecom di Roberto Colaninno fu una plusvalenza miliardaria (3mila miliardi di vecchie lire, 1,5 miliardi di euro) realizzata da De Agostini, che solo tre anni prima aveva comperato la stessa Seat da Telecom Italia. De Agostini, guidata da Marco Drago, con quei soldi comprò Toro Assicurazioni, venduta poi a Generali in tempi di vacche grasse per i titoli finanziari, investendo nuovamente la ricca plusvalenza in Lottomatica, ossia nel gioco del Lotto e affini, uno dei pochi settori esenti da crisi.Ora Seat lotta per la sopravvivenza. L’ad Alberto Cappellini ha detto ieri che il cda non ha ancora preso alcuna decisione.

«Abbiamo appena iniziato le trattative con i creditori su come sistemare la struttura del capitale». E se l’accordo non ci sarà, Seat potrebbe anche finire in amministrazione straordinaria facendo ricorso alla legge Marzano. Ieri in Borsa il titolo ha perso quasi il 2% chiudendo a 0,07 euro, ossia 7 centesimi.

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