Secessione Il rischio è che il Paese si spacchi in due

La ferrea censura imposta dal regime, il blocco di Internet e dei telefoni cellulari e l'assenza dei media stranieri rendono molto difficile valutare la reale portata della rivolta popolare in Libia, anche se la cifra di 84 morti la rende fin da ora la più sanguinosa dopo quella egiziana. Ma la sua vera peculiarità è di non avere, come in Egitto, in Tunisia e nello Yemen, il suo epicentro nella capitale, ma a oltre mille chilometri più a est, a Bengasi e nelle altre città della Cirenaica.
Più che a una rivolta del pane, più che a una insurrezione per la libertà e la democrazia, siamo di fronte a un movimento tribale e nazionalista da parte di una popolazione insofferente della egemonia di Tripoli e ansiosa di riconquistare o l'indipendenza o quella supremazia di cui godeva ai tempi della monarchia senussita. Per gli abitanti di questa regione, molto più affine all'Egitto che ai Paesi del Magreb, la Libia è rimasta, sostanzialmente, una invenzione del colonialismo e Gheddafi (che pure è nato da queste parti) un despota che privilegia la capitale rispetto alle province orientali. Da sempre, infatti, la Cirenaica è la culla del dissenso contro il colonnello, anche se tutti i suoi tentativi di ribellione sono stati frustrati dagli apparati di sicurezza. Ma ora che l'intero mondo arabo è in fiamme gli abitanti di Bengasi, di Al Bayda, di Derna hanno ripreso coraggio e inscenato una vera e propria rivoluzione. Al momento è impossibile verificare se le forze dell’ordine siano state davvero costrette a ritirarsi dal capoluogo, se davanti al suo Palazzo di Giustizia si siano radunati 20.000 dimostranti, se vi sia o no assediato uno dei figli di Gheddafi, se Al Bayda sia addirittura nelle mani degli insorti che vi avrebbero instaurato una specie di amministrazione provvisoria. Quel che è molto probabile, invece, è che se l'insurrezione dovesse trionfare, il risultato non sarebbe la cacciata di Gheddafi , che appare ancora in pieno controllo della Tripolitania, ma la secessione della Cirenaica e la conseguente nascita di un nuovo Stato sull'ex Quarta sponda: un bis di quanto accaduto poche settimane fa in Sudan, dove il Sud nero e cristiano è riuscito finalmente a conquistare l'indipendenza dal nord arabo e musulmano.
Le implicazioni per l'Occidente e soprattutto per il nostro Paese sarebbero enormi. Anzitutto, visto l'orientamento prevalente dei suoi abitanti, il nuovo Stato potrebbe avere forti connotati islamisti; ma a preoccupare soprattutto sono le conseguenze economiche. Anche se la Cirenaica è stata anche l'epicentro della resistenza anti-italiana, i nostri interessi nella regione restano forti, cominciando dai giacimenti di idrocarburi dell'Eni nel deserto sudorientale e proseguendo con una notevole penetrazione commerciale, anche da parte di piccole e medie imprese.

Una neonata Cirenaica riconoscerebbe, per quanto le compete, il recente Trattato di amicizia italo-libico? Una Libia dimezzata manterrebbe i suoi impegni nei nostri confronti per il controllo della immigrazione clandestina? Se Tripolitania e Cirenaica si separassero, ci sarebbe ancora interesse a costruire la famosa autostrada costiera dalla frontiera tunisina a quella egiziana che l'Italia si è impegnata a finanziare e le nostre imprese a costruire? Forse è presto per porsi simili interrogativi, ma è davvero difficile immaginare che la Libia, presa in mezzo com'è tra i due Paesi dove la piazza ha già vinto, possa uscire indenne da questa tempesta. I mercenari africani che Gheddafi ha assoldato e che sarebbero gli autori dei massacri non basteranno a salvare la Jamahirya come è oggi.

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