Il «selvatigh», come è soprannominato a casa sua, a Santa Caterina Valfurva in Valtellina, torna sugli ottomila.
È partito ieri per il Nepal, in Himalaya, dove andrà a scalare il Lhotse (8516 m), quarta montagna della terra e (possibile) 7° ottomila nella personale classifica del valtellinese. Ricordiamo tutti le cronache di quei tragici giorni al K2, nel 2008, che lo videro protagonista quando, l'1, 2 e 3 agosto del 2008, veniva scritta una delle pagine più nere dell'alpinismo degli ultimi anni. Con 11 vittime, quella vissuta da Marco, è stata la seconda tragedia della storia del K2, dopo quella del 1986, quando scomparvero 13 alpinisti.
Insomma, Confortola è uno che ha visto la morte in faccia. Uno che ha avuto il coraggio (e la fortuna) di chiederle di spostarsi per farlo andare avanti nella vita. E lei gliel'ha permesso, non prima però di aver fatto cadere la sua falce su tutte le dita dei piedi. Già, perché Confortola, a causa della permanenza in quota, a quelle temperature, come racconta nel libro «Giorni di ghiaccio» (Baldini & Castoldi) ha subito dei danni permanenti.
Qualcosa si è inciso per sempre nel suo corpo e nella sua anima. Lui si era addormentato, esausto, a circa 8000 metri. Una fase che precede il sonno eterno. Non fosse che Pemba Sherpa, coraggioso e fortissimo scalatore, nel tornare a cercare i propri compagni, si è imbattuto in Marco.
Uno scrollone, la maschera dell'ossigeno appoggiata sul viso, e lui si è risvegliato, è tornato indietro alla vita. Poi è tornato in Italia, è stato operato, ha fatto la riabilitazione necessaria. Nell'ultimo anno si è totalmente votato alle montagne dell'Ortler Cevedale e, in tempi più brevi del previsto, è tornato a fare sport e a dedicarsi al suo mestiere di guida alpina. Il ritorno all'aria sottile, possibilità cui lui ha sempre fermamente creduto, non poteva che rappresentare la naturale conclusione di questo difficile momento.
Ora, dopo quasi due anni da quella vicenda ci riprova. Non al K2 però. «Lì i conti li ho chiusi, la vetta è già fatta. Mai più K2, ma torno a scalare sugli ottomila questo sì. Voglio provare a vedere che reazioni avrò, sia a livello mentale che fisico».
Un ritorno per gradi, con umiltà, quello di Confortola: «Non voglio dimostrare niente a nessuno, ma capire cosa posso fare. Anche perché io di mestiere faccio la guida alpina e non posso smettere di andare in montagna».
Con lui ci sarà Pasang Lama Sherpa (da non confondersi con Pemba), a dargli man forte, a salire sulla normale del Lhotse. Un ottomila è pur sempre un ottomila - e non bisogna prendere nulla sottogamba - anche se qui non siamo al K2 e le difficoltà tecniche sono nettamente inferiori. Una scelta assennata, dunque: «Sto qualche giorno a Katmandu - continua Marco - poi farò l'avvicinamento e un lungo acclimatamento. Il tentativo alla vetta arriverà a partire dal 20 maggio».
Certo che ricominciare da dove si era fermato lui non sarà facile, specie a livello psicologico. «In effetti al momento non so se l'obbiettivo è di proseguire nella collezione a tutti i 14 ottomila. Voglio vedere come reagisco e scrivere un altro libro. Un libro non solo e non tanto sulla montagna che vado a scalare, quanto sul quello che è stato. Rielaborare e andare avanti».
Insomma, sarà come salire un altro K2, se per K2 si intende un'impresa difficile, ardua, al limite dell'impossibile. Che però Marco vuole superare.
Certo è che in circostanze come queste i collegamenti vengono facili, anche a chi resta da questa parte a guardare, ad attendere le notizie. Cosa gli avranno detto i suoi genitori? Come l'avranno presa questa decisione di riprendere piccozza e ramponi e partire? «Mia madre si è messa a piangere. Le ho detto di non preoccuparsi, che torno subito a casa».
Per convincerla Marco Confortola ha preso anche un impegno con gli amici dell'associazione «Cancro Primo Aiuto Onlus». E questo è un altro buonissimo motivo per tornare subito. La sua piccozza, al ritorno, sarà messa all'asta, e il ricavato andrà a loro, persone che affrontano un'altra, arditissima sfida per la vita.
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