Torna a Roma dopo 14 anni di assenza il gruppo di teatro visivo dei Mummenschanz. La compagnia svizzera è ospite dellAccademia Filarmonica Romana per la quale propone lo spettacolo «3X11», una sorta di retrospettiva che dà ragione della loro lunga carriera disseminata di spettacoli dove la magia e la fantasia hanno la meglio. Si tratta di una nuova sfida del celebre complesso, fondato nel 1972 da Bernie Schuerch e Andres Bossard, svizzeri, insieme con litalo-americana Floriana Frassetto. Da questa sera (e fino a domenica) al teatro Olimpico, i Mummenschanz salgono in cattedra per dimostrare come siano carichi di suggestioni poetiche gli oggetti di uso comune, dei quali spesso dimentichiamo il valore intrinseco una volta sfruttati e abbandonati.
Sul palcoscenico irrompono «esseri-oggetto» che indossano proprio ciò che la nostra società consumista e distratta ha depauperato di valore: sacchetti dilatati, resti di tubo a fisarmonica, teste di bidoni, fili di ferro, stralci di stoffa, pezzi di cartone, gommapiuma e altro ancora. Tutti materiali, questi, mossi o modellati in modo da generare una fantasmagoria proteiforme centrata sullumano, capace proprio per questo di smontare i nostri punti di riferimento. Lo stile dei Mummenschanz rimane intatto negli anni così come la loro capacità di sorprendere: allistante, forme smisurate si stendono, si allargano e si sformano; linee grafiche, piccoli segmenti si animano e raccontano storie che lo spettatore guarda perplesso, stupito, sbalordito a volte anche disorientato. Ci si diverte, insomma, o ci si meraviglia davanti a imprese e peripezie varie; ci si commuove di fronte alle scenette di innamorati indispettiti; ci si spaventa al cospetto della voracità o della furia distruttrice di alcune creature. «Il nostro - spiega la Frasetto - è uno spettacolo senza musica e senza parole. Questo però non ci impedisce di essere uno dei gruppi più richiesti in campo internazionale. Un evento che ci ha permesso di partecipare ai maggiori festival, e di arrivare a Broadway dove siamo stati per tre anni consecutivi.
Senza parole e senza musica, ma è teatro
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