Sessanta miliardi più che in Germania Costi alle stelle per il pubblico impiego

da Milano

L’opera del ministro anti-fannulloni Renato Brunetta? È solo all’inizio. Perché la pubblica amministrazione italiana, dati alla mano, si conferma una delle più costose d’Europa. I dati, diffusi ieri dal centro studi della Cgia di Mestre, parlano chiaro: la pubblica amministrazione italiana costa, giusto per fare un esempio, 60 miliardi di euro più che in Germania. E, come se non bastasse, mentre Berlino, dal 2000 al 2007 ha visto calare la spesa destinata al pubblico impiego dall’8,1 al 6,9 per cento del Pil, in Italia la percentuale è cresciuta dal 10,4 al 10,7. E non si parli di efficienza teutonica: anche la Spagna riesce a fare meglio di noi. A Madrid infatti i fondi per stipendi e contributi, nello stesso arco di tempo, sono rimasti fermi al 10,2 per cento del Pil.
Come sempre, uno dei problemi italiani si conferma essere il debito pubblico: infatti, se consideriamo la spesa del personale in relazione alla spesa primaria (ovvero la spesa senza tener conto dei notevoli interessi che paghiamo sul debito), rispetto al 2000 la percentuale è scesa al 24,6 per cento. «Ma questo non è un valore positivo in assoluto - ha detto il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi -. La Spagna, effettivamente, è al 27,5%, ma in Germania sono scesi fino al 16,9%. Ovvero, rispetto ai competitori tedeschi, c’è una differenza di oltre 7 punti percentuali».
Ma i numeri più preoccupanti sono altri: il vero nervo scoperto della pubblica amministrazione rimane il numero dei dipendenti. L’esercito dei lavoratori pubblici, in termini assoluti 3 milioni 391mila persone, è percentualmente il più vasto. «Forse in assoluto i dipendenti pubblici non sono troppi - ha sottolineato Bortolussi -. In rapporto agli abitanti, però, ne abbiamo più di tedeschi e spagnoli». In Italia, infatti, i lavoratori pubblici sono 58 ogni mille abitanti, mentre in Germania e Spagna sono 55 ogni mille cittadini.
Una differenza non da poco, soprattutto se si considera come sono distribuiti queste risorse: il 59% è alle dipendenze dell’amministrazione centrale, mentre soltanto il 41% è impiegato tra regioni, università ed enti locali. «Con Germania e Spagna è un confronto impietoso - ha spiegato il segretario della Cgia -. In Spagna solo il 22,4 per cento lavora per Madrid, mentre il restante 77,6 per cento è diviso fra le comunità autonome (50,2 per cento) e gli enti locali e le università (27,4 per cento). In Germania, a lavorare per lo Stato centrale è solamente il 10,5 per cento, mentre l’89,5 per cento è distribuito fra le amministrazione locali e i lander, le regioni tedesche».
Insomma, anche su questo punto ci sarà da lavorare e toccherà al ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, con la sua bozza di riforma federalista, dare una mano a Brunetta.

«Con la proposta di riforma attualmente in discussione bisognerà provvedere a colmare questi squilibri - conclude Bortolussi -. Col trasferimento di maggiori competenze e autonomie agli enti locali, anche i dipendenti pubblici dovranno essere spostati, per consentire prestazioni più efficienti e puntuali».

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