Ci sono persone che credono di essere ancora in unItalia che si divide fra gli amici e i nemici. UnItalia in cui quel che conta alla fine è la raccomandazione, locchiolino dintesa alla persona giusta, la tessera o il tesserino che sfolgorano e garantiscono, se non autorevolezza, almeno considerazione. Insomma, cè unItalia popolata da personaggi che, in pubblico, salgono sul piedistallo della loro condizione e da lì tuonano. Anche se sono in torto marcio. E ` lItalia della battuta di Totò: «Lei non sa chi sono io».
Riccardo T. è un giovane magistrato. La sera del 6 aprile 2003 si mette alla guida della sua auto, ha un brutto incidente nei pressi di una località pugliese, sfonda con la testa il parabrezza, chiama i carabinieri. E qui pure lui cade in tentazione: invece di collaborare lealmente con lArma, scatena il finimondo. Il motivo? I militari vogliono sottoporlo alletilometro perché sono convinti che sia in stato di ebbrezza. Lui si rifiuta e dà il via a un imbarazzante show: si qualifica, spiegando di essere un Sostituto procuratore di una città non molto lontana; poi passa agli avvertimenti: comunica alla pattuglia di avere conoscenze fra gli ufficiali dellArma e, come se non bastasse, fra politici locali e nazionali. Infine la minaccia si fa ancora più sguaiata. Dice ai militari così inflessibili, che in realtà stanno solo facendo il loro dovere, che li farà trasferire a Lampedusa.
Fuochi dartificio con i bengala della vanagloria e dellarroganza. LItalia che ama le regole esiste, anche se qualcuno ne dubita si mette in moto: lepisodio viene immortalato in un rapporto dellArma, con tutti gli strascichi. Passi per la guida in stato di ebbrezza: Riccardo T. paga e con loblazione cancella, tecnicamente estingue, il reato. Resta però il versante disciplinare: una storia banale e antipatica, come lo sono queste esplosioni incontrollate dellIo. I carabinieri confermano; lui sfuma, glissa, ridimensiona. Il suo difensore fa balenare lipotesi che abbia parlato e trasceso ancora sconvolto per lincidente. Non e` così. Non può essere così.
I militari secondo i giudici del Csm hanno detto la verità. Tutto torna, tutto gira, tutto è coerente nella loro narrazione. Salta fuori, fra laltro, che il giudice si rifiutò di sottoporsi alletilometro anche quando fu portato allospedale della zona per accertamenti. Il suo comportamento è da tirata dorecchie: «Perché tendente a ottenere un trattamento diverso da quello spettante a qualunque cittadino, in quanto stabilito dalla legge, e per di più attraverso la spendita della sua qualità professionale». È questo il dettaglio che irrita di più. Quel «lei non sa chi sono io e adesso glielo faccio vedere». Lesercizio, o almeno il tentativo di esercitare il potere di cui si dispone.
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