"Si può uccidere così un uomo? Ha seguito chi lo comandava"

Ecco la supplica della moglie di Domenico Ricci alla polizia

"Si può uccidere così un uomo? Ha seguito chi lo comandava"

Roma 6.8.1945

Al Sig. Capo della Polizia del Ministero dell’Interno Io sottoscritta Assunta Tenchini moglie del Brigadiere di P.S. Ric­ci Domenico fu Romolo condannato alla pena capitale dal tribuna­le di Novara, rivolgo alla S.V.I. supplichevole domanda di grazia e prego che mi ascoltiate.

Mio marito è stato nella Pubblica Sicurezza per molti anni, senza mai me­ritare una punizione, entrato a far parte di essa dopo che il corpo dei Vigili Urbani, a cui apparteneva dal 1924, fu disciolto, egli prestò servizio prima come motociclista poi come autista. Dal 1940 prestò servizio a Rieti come capo degli automezzi della Questura e qui ebbe la promozione al grado di brigadiere. Quando Roma era già stata occupata, nel 1944, dopo che aveva avuto la casa sinistrata dai bombardamenti, il Questore di Rieti lo obbligò a seguirlo in Alta Italia. Qui fu assegnato alla questura di Novara, dove svolse da principio mansioni di carattere esclusivamente burocratico.

Dopo un po’ di tempo fu iscritto d’ufficio e contro la sua volontà,alla squa­dra di Novara. E questa è l’imputazione per cui si condanna a morte.Ma egli non prese mai parte ad azioni di carattere vessatorio contro chi che sia e la cosa risulta anche dagli atti del suo processo.

Però mio marito non ha mai avuto la facoltà di difendersi, non è stato mai ascoltato obbiettivamente. Si può condannare così a morte un uomo? Egli non è mai stato un fascista, e nel 1933 fu obbligato ad iscriversi al defunto partito.

Se in questo periodo caotico egli ha seguito chi lo comandava, tenete pre­sente, però, che è padre di quattro figli tutti minori e che non poteva lasciarli morire di fame. Il suo può essere stato un atto di grave debolezza, non giusti­fica però una condanna capitale. Nessuno ha avuto niente da rimproverar­gli, non ha fatto male a nessuno. Solo un uomo in tutta Novara l’accusa un certo Lucchini, addetto sotto i nazi-fascisti alla mensa degli agenti, e ora no­minato Vice Questore della città per meriti che noi non conosciamo. Essen­do egli, per caso sfortunato, il più elevato di grado presente al processo, è stata applicata nei riguardi di mio marito la sanzione più grave, benché le azioni da lui svolte nella squadra suddetta siano state nulle.

Vogliate ascoltarmi, e siate giusto con lui. Non vi chiedo di assolverlo, vi chiedo di rivedere il processo alla luce di una più obbiettiva giustizia.

Ascol­tate la supplica di cinque innocenti che stanno per essere travolti in una sventura senza rimedio, e che solo un vostro atto di clemenza può salvare. Se ritenete mio marito colpevole, condannatelo, ma non potete condan­narlo a morte così; quando solo un uomo l’accusa.

Siate clemente, ascoltatemi.

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