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Sicuri che dopo Gheddafi ci sarà vera democrazia?

Basta enfasi, è inutile aspettarsi un altro leader in stile Mandela. Ci saranno cambiamenti, ma poco progresso. La prova è l’Egitto

Sicuri che dopo Gheddafi 
ci sarà vera democrazia?

Ci ha rovinato Nelson Mande­la. Cioè, ha rovinato i portatori sa­ni del pensiero positivista, che oc­cupano in massa i mezzi di comu­nicazione italiani. Il mito del Presi­dente buono è quasi insuperabi­le: dietro ogni rivolta popolare africana, specie se sanguinosa, deve spuntare per forza l’ombra di un nuovo Mandela. Non un nuovo governo, del quale si sarebbero potute intravedere le tracce in anticipo. No, un liberatore, un eroe popo-lare, un uomo magnanimo perfino con i nemici che l’hanno imprigionato e torturato. Voglio sfidare e inquietare i bravi progressisti: dopo Gheddafi, non vedo nuovi Mandela in Libia. Le piazze di queste settimane, che vengono descritte con toni enfatici dai media di casa nostra, non portano nulla di buono. Cambiamenti certamente, ma poco progresso.

In Egitto è finita con i carri armati, la Costituzione sospesa, il Parlamento sciolto. Ed era uno dei pochi Paesi con parvenza di democrazia del mondo arabo. Probabilmente (lo spero, nonostante tutto), gli Usa si erano messi d’accordo in anticipo per una soluzione del genere. Altrimenti, sarebbe poco comprensibile l’atteggiamento di Obama. In Libia è molto peggio. Perché il Paese è storicamente diviso in due aree incompatibili e potrebbe diventare guerra civile endemica. E Gheddafi viene da una storia integralista, che lo porta naturalmente a battersi fino al martirio.

Sento inneggiare acriticamente alle piazze e ai giovani che le riempiono. Ma chi sono? Cosa vogliono? Nessuno lo sa e i commentatori non sembrano neppure interessati a capirlo. Eppure in Libia ci sono radici fortissime di interessi economici italiani, che non possono essere recise senza conseguenze. A parte petrolio e gas, la dipendenza finanziaria dai fondi libici è notevole per le aziende italiane ed altrettanto importante per la nostra economia è il lavoro italiano nella terra governata da Gheddafi. Ho letto e ascoltato commenti superficiali e gauchistes , ridicoli contro «il dittatore», come se per l’Italia fosse stato possibile in passato fare l’esame di democraticità ai Paesi con i quali facciamo affari e dai quali otteniamo l’energia indispensabile a camminare. Ma andiamo, è dai tempi di Mattei che l’Eni-per fortuna, aggiungerò - si procura risorse da Paesi in prevalenza retti da regimi autoritari. Sarà pure cinismo, ma esiste un rapporto di simmetria tra le enormi risorse naturali e le forme di governo semplificate all’eccesso.

Ci garantiscono energia dittature, regimi militari, sultanati, oltre a qualche Repubblica. Ma per Gheddafi la storia è un’altra, stavoltac’èdi mezzo il governo Berlusconi e le critiche diventano grottesche. Faceva affari con il Colonnello il governo del democristiano Andreotti e la Fiat di Gianni Agnelli. Quando la Libia era molto più cattiva. Applaudivano gli antiamericani di casa nostra e i giornali della grande borghesia ( Corriere , Stampa e Repubblica ) seguivano una semplice linea: pecunia non olet. Da qualche anno il Colonnello si è riavvicinato all’Occidente ed ha incontrato Berlusconi. Apriti cielo, è diventato anche lui il Male Assoluto. Viene da ridere, se non ci fosse da piangere. Perché stavolta non avremo alibi. Non ci saranno gli americani a difendere i nostri interessi in Libia e neppure gli altri Paesi europei. Dovremo farlo da soli e temo molto che, se cadesse Gheddafi, saremmo costretti a rimpiangerlo.

E purtroppo, anche se restasse al potere, c’è il rischio che lui stesso, per difendersi da quella che giudica un’aggressione fomentata dall’Occidente, torni in prima persona a cavalcare l’integralismo. A noi servirebbe un Paese forte e unito attorno al governo, per fronteggiare gli eventi.

Ma conosciamo i nostri polli e ci affidiamo alla buona sorte.

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