Le signore «travet» in pensione a 65 anni a partire dal 2018

RomaL’età della pensione di vecchiaia per le donne che lavorano nella Pubblica amministrazione aumenterà gradualmente, a partire dal 2010, per arrivare ai 65 anni nel 2018. Lo prevede la bozza messa a punto per attuare la sentenza della Corte europea di giustizia sulla parità di trattamento previdenziale uomo-donna nel pubblico impiego.
Il documento sta per giungere a Bruxelles per un esame da parte della Commissione europea. L’età pensionabile per le dipendenti pubbliche sarà innalzata per gradi, un anno ogni biennio, fino a realizzare la parità a 65 anni nel 2018. Se l’Europa darà il via libera, e dopo un passaggio in Consiglio dei ministri, la norma dovrebbe essere inserita con un emendamento al disegno di legge sul lavoro, collegato alla manovra finanziaria, oppure nella legge comunitaria attualmente all’esame del Senato. Secondo le prima valutazioni tecniche, le nuove norme consentirebbero anche un risparmio di 2,3 miliardi di euro in 8 anni.
Ma non è il risparmio l’obiettivo, piuttosto l’evitare sanzioni europee. Le disposizioni riguardano esclusivamente le pensioni di vecchiaia delle dipendenti pubbliche, che attualmente vanno a riposo a 60 anni rispetto ai 65 degli uomini. Nulla cambia per le lavoratrici pubbliche (ricordiamo che la sentenza europea si riferisce esclusivamente al settore pubblico) che hanno i requisiti per il pensionamento di anzianità, o che maturano entro il prossimo 31 dicembre 2009 i requisiti di età e anzianità contributiva previsti dalla legge oggi in vigore. Inoltre le lavoratrici che hanno acquisito il diritto alla pensione di vecchiaia con il «vecchio» sistema, pur restando al lavoro, possono far certificare quel diritto dall’ente previdenziale di appartenenza. Infine, i nuovi limiti non valgono per le categorie che prevedono un’età di pensionamento più elevata, come i magistrati o i professori universitari.
L’adeguamento dell’età pensionabile per le dipendenti pubbliche dovrebbe evitare sanzioni europee nei confronti dell’Italia. La Corte di giustizia Ue aveva infatti ravvisato nell’attuale normativa nel trattamento pensionistico di uomini e donne nella Pubblica amministrazione una «discriminazione» a danno delle dipendenti. La sentenza non riguarda il settore privato, nè riguarda i pensionamenti di anzianità, le cui regole sono uguali per uomini e donne. Secondo Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera, «il governo non poteva fare diversamente, viste le richieste della sentenza europea; personalmente avrei preferito un pensionamento flessibile - commenta - ma non c’era altro da fare».
La proposta di modifica, elaborata da una commissione mista dei ministri della Pubblica amministrazione, del Welfare e dell’Economia, al solito non piace alla Cgil. «È un inaccettabile accanimento contro le donne, nascosto dietro l’ipocrisia della cosiddetta gradualità», dice il segretario confederale Morena Piccinini, che accusa il governo di «sollecitare pareri di esponenti europei per trovare alibi all’idea di fare cassa sulla pelle delle donne». Ovviamente, le cose non stanno così. L’idea europea è che il lavoro non è una condanna, quindi il pensionamento anticipato delle donne rispetto agli uomini è visto come una discriminazione. «Il governo - taglia corto il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta - sta rimediando a una disparità sottolineata dalla Corte di giustizia Ue, e guarda con favore al percorso parlamentare delle nuove norme».
L’aumento dell’età pensionabile delle dipendenti pubbliche rappresenta l’unico intervento sulla previdenza nell’agenda del governo e del Parlamento. Nessuno scambio fra ammortizzatori sociali e una nuova, eventuale riforma delle pensioni.

Lo stesso neo-segretario Pd Dario Franceschini conferma che l’assegno di disoccupazione proposto dal partito «non c’entra con le pensioni». All’incontro di oggi fra governo e parti sociali, a palazzo Chigi, l’argomento pensioni non è in scaletta: si parlerà invece di cassa integrazione e ammortizzatori sociali.

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