Il simbolo dell'Europa che muore (e rinasce)

Il cattivo presagio di Notre-Dame in fiamme si combatte con una visita a San Candido...

Il simbolo dell'Europa che muore (e rinasce)

I n mezzo alle Dolomiti si erge uno dei massimi esempi di stile romanico. La Collegiata di San Candido, nell'omonimo paese, toglie il fiato. La facciata semplice si risolve nel ritmato «corpo» della Chiesa, diviso in spazi sempre meno grandi e sormontati da tetti a piramide. Intorno, un piccolo cimitero immerso nel verde del prato. L'interno non è da meno. Ci sono, tra l'altro, opere lignee del XIII secolo, nella cripta e sull'altare. Umile e grandiosa al contempo, la Collegiata invita alla preghiera. È raccolta ma suggerisce il cielo aperto. È una porta per comunicare, con i nostri poveri mezzi, con Dio. La Collegiata ha una storia antica. Una prima, grande chiesa fu costruita a partire dal 769. Accanto sorgeva un monastero benedettino. All'inizio (...)

( ...) del XII secolo l'edificio fu raso al suolo da un incendio insieme con il centro abitato. Tutto era da ricostruire. Una comunità, messa a dura prova dal clima, doveva ripartire da zero. Lo fece perché aveva fiducia nel futuro. Nel 1140 circa iniziarono i lavori per far nascere la Collegiata. Il risultato è il capolavoro conservatosi intatto fino ai nostri giorni. Chiese che bruciano...

Ken Follett ha scritto un libro interessante sul rogo di Notre-Dame, a Parigi. Era lo scorso 15 aprile, tutti abbiamo negli occhi le immagini trasmesse dalla televisione: la Cattedrale avviluppata dalle fiamme, il crollo del pinnacolo, le veglie dei fedeli, la commozione degli increduli. C'era qualcosa di simbolico, difficile da esprimere senza scivolare nella retorica. In Notre-Dame (Mondadori) Follett ci racconta la vita «letteraria» della Cattedrale, legata soprattutto a Victor Hugo e al suo Notre-Dame de Paris (1831). Ma il libro del bestsellerista inglese, noto in tutto il mondo per il romanzo storico I pilastri della Terra, colpisce a fondo in una pagina che potrebbe sembrare marginale e invece offre uno spunto decisivo. Follett, per documentarsi, ha studiato a fondo le cattedrali del Medioevo. Ne ha visitate numerose e conosce le fonti giuste per capire che lavoro facessero il magister murario (architetto), i carpentieri, gli artigiani, gli scalpellini.

E qui arriva il dettaglio che fa capire se non tutto, moltissimo. Quando uno scultore, nel Novecento, deve restaurare o sostituire le statue che impreziosiscono le sommità dell'edificio, si limita ad abbozzare le parti principali. Il motivo? Dal basso lo spettatore non potrebbe cogliere altro: rifinire è inutile, uno spreco di tempo. Simile atteggiamento, dice Follett, sarebbe stato giudicato con durezza dal più umile degli scalpellini medioevali. All'artigiano-artista di quell'epoca interessava quanto si vedeva dal basso ma anche quanto si vedeva dall'alto. Scolpiva i particolari per gli occhi di Dio che tutto osservano. Chissà la reazione dello scalpellino davanti ai progetti attuali per il restauro di Notre-Dame: foreste ambientaliste, piscine coperte, qualunque cosa purché non richiami il sacro, manca solo il campo da tennis.

Ed eccoci a un secondo libro: Notre-Dame brucia. L'autodistruzione dell'Europa (Giubilei Regnani) di Giulio Meotti, giornalista del Foglio. Domanda di Meotti: cosa piangevano i francesi nella notte del 15 aprile? Risposta: piangevano una parte di sé stessi, l'immagine di una civiltà post-cristiana in frantumi.

Post-cristiana, esatto. Meotti dimostra la tesi con una valanga di numeri e statistiche. Il calo (crollo) demografico di un'Europa sempre più vecchia corrisponde a un'immigrazione di massa dalle conseguenze imprevedibili. Mentre gli europei non vogliono saperne di fare figli, gli immigrati, anche di seconda o terza generazione, continuano a riempire le culle. In molti Paesi, specie del Nord, si rischia un'islamizzazione di fatto. Niente di male se ciò avvenisse attraverso una vera integrazione. Per ora è pura illusione. Abbiamo imboccato una strada diversa. Tante comunità differenti vivono fianco a fianco conservando i propri costumi e la propria lingua. In alcuni quartieri delle metropoli è possibile nascere e morire parlando solo l'arabo.

C'è un «piccolo» problema imposto dalla statistica. Una cultura può assorbirne un'altra, dalle forti rivendicazioni identitarie, fino a un certo punto. Oltre c'è la trasformazione più o meno radicale della cultura indigena. Cosa già avvenuta in città di Belgio, Svezia, Olanda, Francia. In alcuni sobborghi inglesi, le corti islamiche regolano le questioni matrimoniali: un'eccezione che mina le basi dello Stato di diritto. Nel frattempo il cristianesimo diventa una abitudine, cara ma superata. Per alcuni sociologi, il cattolicesimo è addirittura finito: i praticanti di oggi sono come la scia di una nave, presto scompariranno. Chi vincerà, un domani, tra la società aperta e l'ortodossia religiosa? Dobbiamo per forza correre il rischio che i nostri nipoti siano meno liberi di noi o possiamo intervenire?

Regolare l'immigrazione è una necessità. Ma invocare fermezza o almeno raziocinio è assimilabile, secondo la maggior parte dei media, a un reato contro l'umanità. Salvare i naufraghi è un dovere. Questo è indiscutibile. Tutto il resto si può e si deve discutere. Un conto è accogliere, un altro farsi invadere, un conto è salvare i barconi in difficoltà, un altro incitare gli scafisti a partire, un conto è garantire condizioni di vita dignitose a chi sbarca, un altro è lasciare che venga arruolato come schiavo pagato a cottimo. Se uno Stato non può decidere sulla tutela dei propri confini, che Stato è? Se esiste una legge morale superiore a ogni codice, vedi il caso Rackete, chi può dirsi sicuro di essere protetto dagli abusi dei singoli e dello Stato stesso? E si potrebbe andare avanti.

Purtroppo il pensiero mainstream funziona così: c'è libertà di espressione solo entro certi paletti. Siamo tutti chiamati a rispondere al tribunale della coscienza universale che si autoproclama democratica, tollerante e multiculturale. Ma è una menzogna. È una coscienza rispettabile ma partigiana. Eppure, chi la contesta è un mostro, un nazista in pectore, un razzista. No, cari miei.

Questi sono soltanto giochi di parole per delegittimare gli avversari senza confrontarsi con la realtà. E la realtà, nella durezza dei numeri, sta nel libro di Meotti.

La poesia invece sta nella Collegiata di San Candido, che ci ricorda da dove veniva il nostro antico slancio verso il futuro: dal Cristianesimo.

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