Se la sera del 4 agosto 1931 qualche turista curioso si fosse avventurato lungo la Senna, a Parigi, e avesse raggiunto il punto di imbarco del cutter «Ostrogoth», si sarebbe accorto di un forsennato andirivieni di persone che salivano e scendevano dal battello. Su quell’imbarcazione di oltre dieci metri che Georges Simenon aveva battezzato come la sua personale bateau-home e che si era fatto costruire in un cantiere a Fécamp nel 1929, quella notte era presente tutto il bel mondo della città. Un eterogeneo pubblico convenuto per assistere alla presentazione in anteprima del primo titolo di una collana promossa dall’editore Jacques Haumont destinata a sconvolgere il mercato francese. La «collection Photo-texte» si proponeva infatti di abbinare ai testi di Simenon le immagini scattate da alcuni dei fotografi più in del momento e si proponeva così di creare una linea inedita di «fotoromanzi letterari» di atmosfera noir destinati a far sicura presa sul pubblico.
E proprio per celebrare il primo titolo di quella serie da lui firmata, e intitolato La folle d’Itteville, lo scrittore belga aveva deciso di aprire la sua nave ad amici, curiosi e addetti ai lavori per una mega-festa che faceva seguito a quella da lui organizzata assieme all’editore Fayard il 20 febbraio dello stesso anno per festeggiare nel night club Boule Blanche di Montparnasse l’uscita di Pietr le Lettone (il primo grande romanzo ufficiale del Commissario Maigret), un party entrato nella leggenda come il «Bal anthropométrique» (durante il quale apache, entraineuse, parlamentari, cocotte, avvocati e artisti di diversa estrazione si erano inebriati di champagne e spogliati di ogni senso del pudore proprio davanti agli occhi del divertito Simenon).
Ma, per tornare alla «collection Photo-texte», purtroppo quello che avrebbe dovuto essere un successo, si rivelò un fiasco. Come sottolinea la studiosa Ena Marchi in appendice alla prima edizione italiana in volume di La pazza d’Itteville (Adelphi, pagg. 82, euro 5,50) probabilmente il piccolo libro fatto di testi e immagini era forse troppo innovativo per quei tempi. Inoltre l’editore Jacques Haumont, «dopo la pubblicazione di quel primo titolo sembrò non voler più riservare a Simenon il privilegio di essere l’unico autore della serie», come gli aveva promesso all’atto della realizzazione del progetto.
La rottura fra i due fu immediata e la collana «Photo-texte» nacque e morì con La folle d’Itteville. Eppure, il racconto realizzato per l’occasione da Simenon non era inferiore al resto della sua produzione e le foto che lo corredavano, realizzate da Germaine Krull (al tempo già nota per aver immortalato le creazioni di moda di Sonia Delaunay, ma anche per aver siglato pubblicità per Citroën e Peugeot), erano di alta qualità e sottolineavano in maniera spettrale le atmosfere create dal narratore belga. E soprattutto il protagonista di quella storia, G.7 (detto anche ispettore Sancette o L.53), era un personaggio che Simenon stava da tempo sperimentando come possibile alternativa a Maigret.
Un poliziotto che, come sottolinea sempre Ena Marchi, piaceva molto al suo autore: «un giovane ispettore dai capelli rossi, timido, beneducato, quasi soave che ricorda quel formidabile Rouletabile lanciato da Gaston Leroux con il celeberrimo Mystère de la chambre jaune, che Georges Simenon - ai tempi in cui, sedicenne, si faceva le ossa come reporter alla Gazette de Liège - amava al punto da imitarne i tic e l’abbigliamento». Uno dei pochi ispettori della Polizia Giudiziaria dotato di macchina personale, una vecchia e scassata Citroën 5 CV. Un segugio infallibile che ne La pazza di Itteville indaga su una serie di strane morti in un piccolo paese di agricoltori, un luogo dove i cadaveri appaiono e scompaiono e sembrano tutti in qualche modo legati all’identità di una misteriosa ragazza, molto carina, bionda e pazza. Da questa piccola storia noir emerge fin dalle prime pagine che Simenon aveva già un’idea ben definita del suo personaggio (non a caso l’aveva già usato in una trentina di storie firmate fra il ’28 e il ’30 con pseudonimi come Christian Bulls e Georges Sim) e appare chiaro che anche dopo la creazione di Maigret il trentenne schivo G.7 aveva per lui «una funzione scaramantica - come sostiene sempre Ena Marchi -, gli serve come un’assicurazione sul successo del commissario. Se Maigret non dovesse incontrare il favore del pubblico, insomma, si potrà ripiegare su Sancette».
E là dove G.
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