Sindaco contro agente: "Stavo con sua moglie e mi ha fatto arrestare"

Il caso Pescara. Il primo cittadino di Montesilvano: "In cella per ritorsione del capo della Mobile. E il procuratore lo lasciò indagare"

Sindaco contro agente:  "Stavo con sua moglie  e mi ha fatto arrestare"

nostro inviato a Pescara

Rivelando i boccacceschi retroscena di una guerra di corna e di manette combattuta giudiziariamente (e poi al Csm) in provincia di Pescara, il 22 febbraio sollevammo, increduli, due interrogativi. Il primo: se il marito della vostra amante fosse un poliziotto impegnato a indagare su di voi, a mettervi sotto controllo i telefoni, riuscendo infine pure ad arrestarvi, dormireste sonni tranquilli o nutrireste perplessità sulla genuinità nelle indagini? Il secondo: stando così le cose protestereste con chi, a livello di Procura, coordina questi accertamenti senza porsi il benché minimo problema di una incompatibilità resa evidente dalle trascrizioni delle intercettazioni?

Dieci mesi dopo, quegli interrogativi sono deflagrati al processo pescarese di Enzo Cantagallo, sindaco Pd di Montesilvano, finito in manette per corruzione nell’inchiesta Ciclone nel 2006 grazie alle indagini portate avanti dall’allora capo della Squadra mobile, la cui moglie, per l’appunto, era l’amante dell’imputato-sindaco (stando a quel che rivela quest’ultimo in aula). Un antipasto dello tzunami in arrivo si era avuto con la tempesta abbattutasi già sul Csm. L’ex procuratore capo Nicola Trifuoggi, celebre per il fuorionda con Fini contro Berlusconi, disse al sindaco di non preoccuparsi di ciò che oggi sembra invece preoccupare il presidente del collegio chiamato anche a fare luce sulla regolarità dell’indagine portata avanti dal poliziotto e dal pm Gennaro Varone.

Dopo aver sentito un funzionario della questura testimoniare sulle «false voci» di una «presunta» relazione tra il sindaco e la moglie del suo ex capo, l’avvocato di Cantagallo è sbottato. E di lì a poco anche il primo cittadino ha deciso di rivelare ciò che per decenza si era ripromesso di tacere.

A cominciare dalle pressioni ricevute dal capo della Mobile (e successivamente da altri poliziotti) per promuovere la moglie al vertice dei vigili urbani. Tant’è. Alla fine, «trovandomi accerchiato, seppur a malincuore», Cantagallo fece quella nomina. Di lì a poco, racconta il primo cittadino, con la donna nacque una frequentazione intensa e poi una «relazione corredata da forti sentimenti». I luoghi dei loro appuntamenti erano vari, e «furono oggetto di successive perquisizioni ad opera della Mobile». Così come i «regali costosi e importanti che ricevetti da lei», poi sequestrati dalla Mobile con l’ipotesi che fossero oggetto di corruzione. Secondo il sindaco, le voci della liaison iniziarono a girare, più lettere anonime finirono in questura, nel corso di un interrogatorio un’indagata spiattellò in faccia al capo della Mobile la cruda verità.

Cantagallo dice d’aver temuto ritorsioni perché «avevo saputo che mi voleva morto». Insomma, il sindaco decise di sottoporre il caso alle cosiddette «autorità». Il prefetto «mi disse che se le cose stavano così» il poliziotto «non avrebbe dovuto prendere nemmeno un caffè a Montesilvano».

Il procuratore capo di Pescara, Nicola Trifuoggi «mi rassicurò dicendomi che avrebbe fatto le sue indagini» ma «al contrario non verificò mai l’esistenza di questo rapporto e al contrario ha più volte dichiarato che il mio era un tentativo di

insabbiamento». Un mese dopo il politico finisce dritto in cella avendo precedentemente saputo «che il capo della Mobile aveva inoltrato ben otto richieste di arresto al pm nei miei confronti». Cornuto l’altro, mazziato lui.

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