Compositore, saggista, organizzatore, divulgatore e bacchetta di enorme spessore, Pierre Boulez alla Scala non è una novità.
Siamo ancora stregati dalla recente lettura del Sacre stravinskijano, una delle partitura chiave del Novecento della quale la sua analisi e la sua concertazione hanno in qualche modo mutato il significato. Né possiamo dimenticare il Festival Berg '79: complessi dell'Opéra di Parigi, debutto italiano dell'integrale di Lulu (Patrice Chéreau) e tre concerti. Né gli artisti dell'InterContemporain o il Concerto di Natale 2006. Quello del Sacre.
La complessa personalità e le ottantadue primavere anni evocano mille flashes. Bayreuth e il Ring del '76 con Patrice Chéreau, la Scala '73 e «Le marteau sans Maître» con Bruno Maderna e le Ballet du XXème Siécle. «Pli selon Pli», altra partitura di Boulez divenuta un balletto di Béjart. Aix-en-Provence '98 con il festival nelle mani di Lissner, Don Giovanni che lancia Daniel Harding e Il castello di Barbablù diretto da Boulez e doppiato dal Tanztheater di Pina Bausch. La direzione dell'Ircam, il famoso istituto di ricerca acustico-musicale, a Parigi.
Adesso ai suoi tempi staccati dall'esprit de geometrie, ai disegni contenuti e severi del suo gesto è consegnata la Sesta di Mahler (Essen 1906). Sinfonia complessa, autobiografica, ricca di premonizioni.
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