Politica

La sinistra cancella la diga salva-Venezia

L’ex ministro azzurro: la minoranza ricatta l’esecutivo contro l’interesse collettivo

Stefano Filippi

Fermate il Mose di Venezia. Da giovedì non è più soltanto un grido di dolore dei Verdi, una rivendicazione dei no-global lagunari, una isolata richiesta di pochi parlamentari della sinistra radicale, un auspicio del sindaco Massimo Cacciari, una speranziella del ministro Alfonso Pecoraro. È l’ordine contenuto in un atto parlamentare, nonostante che la maggioranza del centrosinistra sia ancora profondamente divisa sul futuro delle dighe mobili contro l’acqua alta. L’altolà ai cantieri avviati da tre anni è il succo di una risoluzione approvata il 21 settembre dalla Commissione ambiente della Camera che «impegna il governo a prendere immediatamente tutte le necessarie iniziative volte a evitare che siano realizzate quelle parti del progetto che portino il Mose a uno stadio di irreversibilità». Stop ai lavori irreversibili significa stop all’intero progetto di paratoie per salvare la Serenissima dalle maree.
Fino alla risoluzione varata giovedì, la maggioranza navigava a vista. Due settimane fa, proprio a Venezia, il ministro Antonio Di Pietro aveva detto: «È il Comitatone che decide se e come realizzare quelle infrastrutture, il ministro ha il dovere di rispettare quelle decisioni e io lo farò con celerità e determinazione». Il che equivale a confermare il via libera all’opera, visto che il Comitatone l’ha approvata e finanziata. Qualche giorno prima il vicepremier Francesco Rutelli aveva ammesso che «la decisione è complicata»: «Il progetto è finanziato, ha un suo iter. Il consiglio comunale retto da Cacciari ha chiesto di riconsiderare le cose? Il dovere del governo è confrontarci». La richiesta di Cacciari era una sua precisa promessa elettorale, necessaria per tenere assieme una maggioranza che avrebbe vacillato senza le stampelle di Rifondazione, Verdi e dell’ala antagonista.
Il testo votato dall’ottava Commissione, invece, è una presa di posizione ufficiale e unitaria dell’intero centrosinistra, da Caruso all’Udeur. Firmato da cinque deputati (gli ulivisti Fulvia Bandoli ed Ermete Realacci, la verde Luana Zanella, Paolo Cacciari di Rifondazione e Giacomo De Angelis del Pdci), esso cita «le osservazioni critiche, la preoccupazione» e la richiesta di una «revisione-verifica progettuale degli interventi alle bocche di porto» espresse dal Comune di Venezia. È vero, si osserva, che il Comitatone deve «vagliare le proposte avanzate dal Comune entro il mese di settembre 2006», e quindi sostanzialmente ha una settimana per emettere un verdetto; tale verifica sarebbe però «resa vana da attività del Consorzio Venezia Nuova che portassero i lavori a uno stadio di irreversibilità».
Di qui l’intimazione all’esecutivo a bloccare l’attività dei cantieri, subito accolta «positivamente» dal sottosegretario Tommaso Casillo (Rnp). Una decisione che di fatto rimette in discussione tutte le opere di salvaguardia e potrebbe dunque compromettere in modo grave il futuro di Venezia. L’onorevole Angelo Picano (Udeur), vicepresidente della Commissione, ha ritirato una risoluzione di segno diverso e ha dato via libera a quella poi passata, pur essendo intenzionato a «bloccare qualsiasi tentativo di fermare i cantieri aperti». Picano si appiglia al passaggio che impone al comitato tecnico istituito a Palazzo Chigi di chiudere entro il 30 settembre la valutazione delle modifiche. Ma Luana Zanella ha replicato che sarà impossibile.
La costruzione del Mose in difesa dell’acqua alta, cominciata nel maggio 2003, è strutturata in tre fasi di lavoro che richiederà altri cinque anni di lavoro. Il primo stadio è sostanzialmente ultimato: sono le scogliere artificiali alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia e il consolidamento dei fondali dove saranno incernierate le dighe mobili. La seconda fase (la realizzazione della struttura portante del sistema e delle conche di navigazione per i pescherecci) è piuttosto avanzata. La terza, cioè l’installazione delle barriere vere e proprie, è appena agli inizi. Insomma il Mose è già in uno «stadio di irreversibilità». E lo stop ai lavori irreversibili significa bloccarlo già da subito.
«È un paradosso assurdo: il mondo che si autodefinisce difensore dell’ambiente distrugge in modo irreversibile una città patrimonio dell’umanità», si indigna l’ex ministro Pietro Lunardi. Il senatore azzurro ricorda che il Mose fu varato dal governo Amato, «composto quasi dalle stesse forze politiche che costituiscono l’attuale maggioranza»; che il progetto ha il nulla osta di tutte le autorità, ha dalla sua parte sentenze favorevoli del Tar e del Consiglio di Stato ed è già stato finanziato, finora, per 1.700 milioni di euro.

«La schizofrenia che caratterizza un numero limitato di parlamentari - protesta Lunardi - diventa un vero ricatto per il governo propinato da minoranze che approfittano della loro indispensabilità nel controllo del potere per diventare interlocutori forti a scapito di ogni interesse della collettività».

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