Però la sinistra lo corteggiava

Non so se bisogna essere più sorpresi di Bossi o delle reazioni a Bossi. Il leader leghista quel ditino e quelle parole poteva tranquillamente risparmiarseli. I «legologhi » ci diranno che quando parla alla sua base e propone alleanze strane (come l’ammucchiata sul federalismo), Bossi concede parole forti alla platea. Altri «legologhi » diranno che proprio all’alleato del momento che Bossi dedica le parole forti per far capire che un conto è la convergenza su temi cruciali un altro conto è l’alleanza che offusca l’identità. Mettetela come volete, Bossi è quello lì. Non da oggi o da domenica sera, da sempre. Eppure Bossi sollecita nella sinistra reazioni schizofreniche.

C’è il tempo in cui il leader leghista viene presentato come voce autentica, anche se sguaiata, del Nord, l’uomo lungimirante che ha visto prima di tutto il disagio delle popolazioni padane, persino la «costola della sinistra », come ebbe a dire anni fa Massimo D'Alema. E poi c’è il tempo in cui verso Bossi bisogna applicare una nuova «conventio ad excludendum», l’uomo nero che vuole epurare i rom e dividere l’Italia. Nella storia della sinistra italiana Bossi è stato tutte e due le cose, spesso contemporaneamente. Il problema di Bossi, per la sinistra, non è mai stato Bossi, in verità. È stato Berlusconi. Quando Bossi sembra prendere le distanze da Berlusconi, tutti pronti a fargli attraversare il red carpet, cioè il tappeto rosso destinato alle celebrità.

Quando Bossi, già avviato sul red carpet, parla a modo suo diventa un pericoloso anti-italiano. La storia di questi anni è stata ricca di queste clamorose oscillazioni. C’è Bossi che lascia Berlusconi nel ’95 e non si allea con il centrodestra che viene osannato malgrado in quegli stessi anni agitasse il tema della secessione. E poi c’è il Bossi alleato fedele di Berlusconi che invece viene indicato come la prova della deriva xenofoba del centrodestra. In questi ultimi giorni, diciamo prima di domenica, è stato tutto un suonare di violini per il concertone in onore della Lega. Lega affidabile, Lega riformista, Lega agognato alleato, magari per il tramite di Tremonti, anche lui osannato dopo tanti vituperi. La crisi del berlusconismo è agitata con la stessa frequenza e tenacia pedagogica con cui l’Internazionale comunista negli anni ’30 proclamava il prossimo crollo del capitalismo. È finita come sappiamo. Da Veltroni a D’Alema, agli ex popolari, alla Finocchiaro è stato tutto un rincorrere la sirena leghista. Tutto ciò che il voto elettorale non è riuscito a dare, cioè la maggioranza al centrosinistra, lo poteva dare la manovra politica sottraendo al centrodestra la sua costola più preziosa. Tuttavia ogni volta che la «moral suasion» verso Bossi diventa più assillante, il contrordine successivo - causato dal linguaggio del capo leghista - costringe i leader della sinistra a drammatiche marce indietro. A Roma si dice che in questo modo si finisce per «capottare in parcheggio », con riferimento a un autoveicolo che si predispone a manovre azzardate stando rigorosamente fermo. È quello che sta accadendo in queste ore.

Quel dialogo che non si può più fare con Berlusconi e che si può fare con Bossi improvvisamente diventa indigesto. Finisce che il centrosinistra non vuole dialogare più con alcuno. Un noto editorialista di Repubblica, una settimana fa, ha addirittura inventato un neologismo, il «dialoghismo», per condannare questa breve stagione veltroniana. Questo tira-e-molla sul leghismo non indebolisce Bossi, ma lo «schieramento a lui avverso». In primo luogo perché in molte parti del Nord alcuni segmenti elettorali della sinistra si sono trasferiti sotto la bandiera padana, in secondo luogo perché non si possono invocare azzardate alleanze e poi ritrarsi indignati dopo un comiziaccio.

C’è una morale in tutto questo. La politica è una cosa seria, malgrado l’opinione corrente. Se la sinistra pensa che Bossi sia un antiitaliano metta una croce sopra l’idea di allearsi con lui. Sennò si prenda Bossi tutto intero. La seconda morale è più stringente.

Non può la sinistra cercare disperatamente il dialogo con tutti e sfuggire a quello con il vincitore delle elezioni. Sarebbe più saggio dire che lo scontro è senza sconti, magari civile, ma senza abboccamenti. Staccare Bossi da Berlusconi è un’alchimia da strateghi di farmacia.

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