Sinistra Ds, siluro a Fassino: «Con lui non contiamo più nulla»

La minoranza di Mussi avverte il leader: "Il partito democratico? Esiste solo in Serbia"

Sinistra Ds, siluro a Fassino: «Con lui non contiamo più nulla»

Roma - Delle tre avversità - la giornata piovosa, il blocco del traffico, il segretario Fassino - la meno accidentale prevale. Sospinge una corposa massa critica a radunarsi nel teatro Valle, convinta dell’impellente necessità di «fermare il treno» e il suo macchinista che «non ci porta oltre, ma indietro e fuori». Fuori binario.
Sono i compagni della seconda mozione ds, quella che fa capo al candidato segretario Fabio Mussi, allo stratega Cesare Salvi, al socialista Valdo Spini, all’ambientalista Fulvia Bandoli. Con l’aggiunta di Peppino Caldarola, già dalemiano «autonomista», quasi l’organigramma di partenza per quel «qualcosa di sinistra» che verrà all’indomani del congresso di scioglimento primaverile della Quercia. Una minoranza agguerrita, che «vuole vincere il congresso» e si appella all’intera diaspora «di chi viene dal Psi e dal Pci», di «chi non entrerà nel Pd», del «mondo antagonista dei movimenti». Perché una sinistra ancora divisa sarebbe la «rovina» e una «prospettiva unitaria» si può (e si deve) trovare, adesso o mai più. «Le logiche di nicchia o di trincea non lasceranno sopravvissuti», avverte Mussi, che si vuole «rimettere in discussione con gli altri» per un «grande partito di sinistra».
Un partito che riterrà «impossibile rinunciare alla parola socialismo», come sottolinea Spini, e «pescherà il meglio delle cose nuove e buone, ritenendo la laicità dello Stato non negoziabile», come annuncia Mussi. Mantenendo al centro il tema del lavoro, restando radicato al filone del socialismo europeo. Altro che «velleitarismi», altro che «restare l’unico paese d’Europa senza un grande partito socialista». Un’occasione storica accidentalmente offerta dal «macchinista Piero», che «non può decidere per tutti. E noi non verremo dietro per forza».
«Ce ne andiamo, ce ne andiamo...», cresce l’entusiasmo nella platea. Ma ad «andarsene» sembrano piuttosto gli altri, la maggioranza di Fassino, D’Alema, Migliavacca eccetera. Via dalla sinistra, via dal Pse, «impelagati in un’altra metamorfosi, un’altra partenza, un andare oltre che dura da anni e non si sa mai dove debba arrivare», dice Mussi solleticando una platea predisposta all’ironia e al sarcasmo. Sarcasmo affilato e verità sullo stato del partito, visto che «i nostri oppositori ci accusano di voler difendere i Ds così come sono, peccato che siano stati loro ad averlo ridotto in questo stato...». Non c’è carità di patria che tenga: «Ricordo che Occhetto nel ’94, dopo aver ottenuto il 16,7 per cento, dovette fare le valigie in pochi secondi... Ora vedo celebrare i trionfi di un segretario che ci ha portato nientemeno che al 17 per cento». Il partito è diventato «un gigantesco gioco dell’oca, cioè tornato al punto di partenza», una «forza marginale e trascurabile in gran parte del Paese», un triste «partito degli eletti, con le sezioni che si riempiono solo quando si discute delle liste e non della situazione in Medio Oriente...».
Un partito, si potrebbe aggiungere per essere davvero cattivi, nel quale la replica a questi dati di fatto viene affidata al coordinatore della segreteria, tal Maurizio Migliavacca, che chiede «maggior rispetto per i risultati di Fassino che dal 2001 a oggi ha vinto tutte le elezioni». Visione della politica deprimente, e conferma della realistica descrizione di Mussi. Non bastava allora un semplice comitato d’affari, con buoni pubblicitari e buoni candidati «acquistati» sul mercato, per vincere? Di certo si sarebbe ottenuto più dello striminzito 0,3 per cento in dodici anni (dal ’94 al 2006). Ma dov’è la politica, di che cosa parlano oggi i Ds? Di organigrammi e di potere. Mussi è lanciato: «Bada Piero! Non si imbroglia la gente, un partito vero nasce per ragioni di fondo e vive sull’identità, dura anche dopo una sconfitta elettorale, è qualcosa che entra nella pelle...». Indefinibile la materia della pelle del «Pd», invece. Il Partito democratico («partito preterintenzionale», lo si chiama qui) «esiste soltanto in Serbia», racconta Mussi. Peggio: «È un modo per eludere la discussione nei Ds e i problemi della società, la fusione a freddo di ciò che resta dell’Ulivo del ’96, Ds e Dl... Dopo averlo seppellito, la riesumazione dei resti».

La pretesa di «risolvere, andando al ’700, cioè a prima che nascesse il socialismo, la dialettica tra illuminismo e cristianesimo». Cioè, per dirla con la fulminante battuta di Salvi, «era il programma di Immanuel Kant, ora ci lavorano Fassino e Rutelli...».

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