Il soldato Tobino nella follia della guerra

Dentro Mario Tobino, e dentro la sua scrittura, esistono due deserti. Il secondo è quello della solitudine e della follia, a cui l’autore de Le libere donne di Magliano dedicò la propria vita professionale di medico e i propri libri più famosi. Il primo invece è quello fisico della Libia e morale della guerra, che a ben guardare è solo un altro tipo di pazzia e di solitudine. Nel deserto della follia Tobino camminò, accanto ai suoi matti, da quando iniziò a lavorare all’ospedale psichiatrico di Ancona, alla metà degli anni Trenta, fino praticamente alla morte, vent’anni fa, nel 1991. Nel deserto di Libia, invece, marciò e sudò per diciassette mesi, tanto durò la sua avventura militare, da giovane tenente medico, dal giugno 1940 all’ottobre 1941, quando fu reimbarcato per Napoli per una «ipertrofia muscolare».
La cosa nota è che una decina di anni più tardi, dopo una travagliata vicenda editoriale, uscì Il deserto della Libia, il romanzo di Tobino, in ventuno «capitoletti» (paesaggi, incontri, avventure, uomini...), su quella surreale esperienza bellica e umana: un libro che ha ispirato anche due film, il tragicomico Scemo di guerra del 1985 di Dino Risi con Beppe Grillo e Le rose del deserto, l’ultima opera firmata, nel 2006, da Mario Monicelli. La cosa meno nota, invece, è che già nei mesi africani Tobino annotò a caldo su dei quadernetti le proprie impressioni che poi rielaborò tra la fine del ’41 e il ’45 in uno scritto magmatico intitolato Il libro della Libia, rimasto dattiloscritto e inedito, e che appare oggi in appendice alla nuova edizione critica de Il deserto della Libia pubblicata negli Oscar Mondadori. E non per caso riappare in questo 2011, settantesimo anniversario della sfortunata spedizione italiana in Libia nella Seconda guerra mondiale, e proprio mentre il Paese nordafricano è tornato a essere di drammatica attualità.
I due testi, come è facile immaginare, hanno in comune molti temi ed episodi, ma non tutti. Quando nel ’52 apparve Il deserto della Libia, scritto in terza persona, Tobino commentò: «È il primo mio libro libero», intendendo il suo primo romanzo che usciva in un Paese libero. Ma gli appunti contenuti nel Libro della Libia, in prima persona, lo sono ancora di più: più liberi, più sinceri, più diretti.

E se possibile ancora più disillusi sulla guerra, sull’Italia, sull’esercito e sui suoi alti ufficiali. A partire - come dimostra il brano che qui sotto anticipiamo - dal Generale Rodolfo Graziani, uno che - scrive Tobino tra sé e sé - «non amava la guerra, ma il carnevale della guerra». E non capì mai il deserto.

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