Solo i mediocri non giudicano Fini dalle apparenze

Gentilissimo Granzotto, novello arbitro di ogni eleganza! La sua briosa risposta al signore che, al pari di una moglie disperata, lamenta in maniera enfaticamente appassionata il tradimento del noto Sig. Fini nei suoi personali riguardi, mi riempie di gioia! Da un po’ di tempo in qua, infatti, la sua rubrica sembrava essersi sonnacchiosamente adattata al rituale scambio di convenevoli tra similpensanti («ma come sono brutti i finiani», «eh, sì, proprio brutti», «ma quante fesserie - mi scusi, ma, a me, di dire “bufale” non viene proprio - dicono gli ambientalisti», «eh, sì, proprio tante», ecc...), ma le è bastato leggere il cognome del cofondatore pentito che la sua penna, risvegliandosi come Wile Coyote all’avvicinarsi di Beep Beep, ha riacquistato il taglio del rasoio, subito virando dalle ragioni di chi le ha scritto e vergando una sentenza definitiva e inappellabile che ha spiegato, con rigore scientifico e precisione terminologica, il motivo della inanità di qualsiasi sforzo che il sullodato faccia per essere un politico di successo: l’ineleganza del suo vestire. Attraverso il concreto esempio e con parole semplici (caratteristiche di chi è padrone dell’argomento) lei ha reso chiaro a tutti che altro è il non saper vestire (morbo che colpisce la maggioranza degli esseri umani, privo di conseguenze apprezzabili e quasi mai letale) altro è invece l’ineleganza (come nel caso di cui si tratta, che, invece, è una rara grave malattia, incurabile e dagli effetti devastanti). E io la ringrazio anche perché, così scrivendo, mi ha fatto tornare alla mente la frase che tanti anni fa il sarto disse alla buonanima di mio padre (che poi andò ripetendola a ogni opportuna occasione, spacciandola come massima di suo conio) durante la prova di un abito: «Avvoca’, l’eleganza sta specialmente in quello che uno non si mette».
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Ma che niente niente tutti quei forbiti complimenti nascondono una presa per i fondelli, caro Scacchetti? Ritiene forse il mio giudizio su Gianfranco Fini - terza carica dello Stato convinto che l’abito faccia il monaco - superficiale? Frivola? Pensa che sia sconveniente e anche un po’ malandrino giudicare dall’apparenze? Dall’abbigliamento da geometra acchittato per il dì di festa? Dalla smorfietta spocchiosa che il nostro buon Fini inalbera quando in favore di telecamera? Dall’abbronzatura da coatto del sole e della sabbia? Be’, sa cosa diceva Oscar Wilde? Diceva: «Solo i mediocri non giudicano dalle apparenze». Scusi lo sfogo (e la dotta citazione), ma se feriti nel proprio ego - io sonnacchioso? Ma se riesco a star sveglio anche quando parla Veltroni, anche quando leggo Eugenio Scalfari o Barbara Spinelli! - si vede rosso. E dunque magari mi sbaglio, magari nonostante l’ariosa circonlocuzione lei si trova d’accordo con me. Me lo farebbe credere quel saporito aneddoto del sarto napoletano (universalmente riconosciuti fra i migliori, i sarti napoletani, altro che Savile Row) del suo babbo: «Avvoca’, l’eleganza sta specialmente in quello che uno non si mette». E in effetti, il torto di Fini è quello di «mettersi». Annodarsi al collo cravatte rosa shocking, per esempio. Oppure non tanto mettersi i gemelli ai polsini, ma far fuoriuscire mezzo metro di camicia affinché tutti sappiano, tutti vedano il monile, il gingillo. Una burinata che fa il paio con il non abbottonarsi l’ultimo dei bottoni alle maniche delle giacche perché Urbi et Orbi sappiano che le asole non sono finte e di conseguenza l’abito è di sartoria, chillo ca costa e’ cchiù.

Davvero un guaio per il nostro Fini perché, come lei ben dice, l’ineleganza è incurabile e dagli effetti devastanti (anche se a voler essere onesti il guaio per Fini, caro Sacchetti, non è tanto quello che si mette addosso, ma quello che si mette in testa).

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