Sono le nove meno un quarto di sera. Il telefono fa uno, due, quattro squilli. Risponde Silvio Sircana, il portavoce del governo Prodi. Tu sei imbarazzato, lui ancora no. Non sa nulla. È tornato a casa da poco. Non ha letto neppure l’agenzia che dice: «Nel mirino dei fotografi anche politico con trans». Sircana non si aspetta questa telefonata. Non sta pensando a Corona e alla sua banda di fotografi. È senza difese. «Non capisco - dice - cos’è questa storia». Tu spieghi, cerchi di spiegare. «Ma chi è il politico?». Sembra che sia lei. «Io?». Sì. «Scusa, ma chi lo dice? Come fai a dirlo?». I verbali. «Quali verbali?». Quelli della procura di Potenza. «Ma c’è il mio nome? Io non so nulla. Non so niente di questa storia. Nessuno mi ha avvertito. Nessuno mi ha messo in guardia. Dove sono questi verbali?». Ormai ce l’hanno tutti.
Sircana ha capito che il suo nome è finito in una storia sporca, in un frullatore di verbali e intercettazioni, con un fotografo che si chiama Max Scarfone che parla al telefono con Fabrizio Corona. Quasi in diretta, mentre segue la sua preda, la fotografa, spera di incastrarla, fa clic mentre l’auto scorre lenta lungo un marciapiede e su quel marciapiede c’è un trans, con i seni di fuori. Clic. Clic. Il fotografo spera nel grande colpo. Sente l’odore della preda. E la preda è Sircana. È lui l’uomo da mettere all’angolo. Ma il piano fallisce. Quelle foto non bastano. Sircana resta ignaro: «Ricatto? Nessuno mi ha chiesto nulla. Non capisco, davvero non capisco. Questa storia non ha senso. Mi leggi l’agenzia per favore?». L’agenzia dice: «Non te lo posso neanche dire per telefono... tu ti rendi conto? Ti dico un personaggio importantissimo della politica a transessuali». È Scarfone che parla. Sircana commenta: «Un politico importante. Vedi che non sono io. E poi non ho queste abitudini». Il problema è quel nome, il suo nome, sui verbali. Squilla il suo telefono. Risponde. È una conversazione breve. Una lunga pausa.
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