Per esplodere, la disperazione e la rabbia di Mario Camboni hanno scelto un pomeriggio di festa: quando la solitudine, e il rimpianto di una vita normale, tranquilla, con la moglie accanto, gli sono divenuti insopportabili e si sono trasformati in follia. Dopo un matrimonio durato quasi quarant’anni e dopo trent’anni nella Guardia di finanza, con due figli ormai laureati ed avviati per le loro strade, Mario Camboni era andato in pensione: e forse pensava che lo attendesse una vecchiaia di riposo e di serenità. Invece qualcosa si era rotto, nel rapporto tra l’anziano sottufficiale e sua moglie. Un equilibrio durato decenni aveva lasciato spazio ad una insofferenza sempre più profonda. E alla fine Mario Camboni era stato mandato via di casa. Si era ritrovato a vivere da solo, in un monolocale, in un residence di quelli dove nessuno conosce nessuno, perché gli inquilini cambiano in continuazione. E che da qualche mese era divenuto la sua nuova casa.
Così, alle sette della sera di Pasqua, Camboni ha ammazzato sua figlia Alessandra che faceva la psicologa a Padova, e ha cercato di ammazzare anche suo figlio Federico che ha studiato legge e fa il praticante in uno studio di via Agnello, nel centro di Milano. I due figli si erano messi d’accordo nei giorni scorsi, ed erano andati a trovarlo portandogli una colomba, per rendergli meno gravosa la solitudine della sera di festa. Ma la colomba non ha nemmeno fatto in tempo ad essere aperta. L’uomo e i figli hanno iniziato subito a litigare. Camboni ha preso un coltellaccio, un arnese da cucina con trenta centimetri di lama, e ha colpito tre volte Alessandra. Poi ha colpito anche Federico, che però è scappato, ed è arrivato fino in strada dove è crollato a terra. Poi anche il Mario se n’è uscito, grondando sangue sulle scale, sui pianerottoli, nell’entrata del residence. Quando sono arrivati i carabinieri lo hanno trovato lì, inebetito, che non sapeva nemmeno dire cosa fosse accaduto.
Con i carabinieri sono arrivate le ambulanze, ma solo Federico Camboni è stato portato in ospedale, malconcio ma fuori pericolo. Mentre per Alessandra non c’erano più cure possibili. Chi ha visto il corpo della giovane psicologa dice che non vi sono ferite da difesa, quelle che classicamente si trovano sulle mani e sulle braccia, come se davanti al proprio padre che la aggrediva a colpi di coltello non avesse nemmeno avuto il tempo o la forza di reagire.
Camboni è stato portato in caserma, a Varese. E qui un po’ per volta gli è toccato tornare a fare i conti con la realtà. «Davvero ho ucciso mia figlia?», ha chiesto agli investigatori che cercavano di interrogarlo insieme al pubblico ministero Luca Petrucci. Ma era chiaro che non era ancora in condizioni di dare risposte sensate.
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