Aare - Patrick Staudacher non è certo il primo sud tirolese (e non alto atesino, termine che contraddistingue chi lì porta cognomi italiani) e non sarà nemmeno l’ultimo che regala gloria a una nazione, l’Italia, che non tutti, fra chi ha radici in provincia di Bolzano, sentono come patria. Senza il Sud Tirolo non avremmo mai vinto medaglie nello slittino (nel fondo invece sì) e la Valanga Azzurra non sarebbe mai stata tale perché i piemontesi come Gros e De Chiesa e i lombardi come Radici e Pietrogiovanna non avrebbero compensato il vuoto provocato dai vari Thoeni, Gustavo e Rolando, Plank, Schmalzl, Stricker... Famosa quella di un telecronista austriaco che si esaltò per Gustavo in uno slalom. Continuò a definirlo «il velocissimo sudtirolese» fino a quando sbagliò, liquidandolo con un «quarto l’italiano Thoeni». Ci fu una protesta ufficiale a livello di ambasciata a Vienna.
Certo che negli anni Sessanta il confronto tra comitato Alto Adige e il resto d’Italia all’interno della federazione sport invernali era reso ancora più serrato dai risvolti politici legati alla questione terrorismo e irredentismo tirolese. Bisognava pesare ogni mossa e ogni parola, senza scordarsi la comunità ladina, una minoranza nella minoranza, alla quale apparteneva ad esempio il liberista Marcello Varallo e prima ancora lo slalomista Carlo Senoner. In ogni modo, commissario tecnico quarant’anni fa era il gardenese Ermanno Nogler che venne accusato di privilegiare gli sciatori dell’Alto Adige per motivi politico-regionali fino a costringerlo a fare un passo indietro. Via lui (e fu uno sbaglio, visto che scoprì Stenmark, il killer della Valanga), i rapporti di forza non cambiarono poi di molto perché in Alto Adige gli sport invernali sono pane quotidiano. Non è solo il vantaggio delle neve, ma anche della concentrazione di tante località. I ragazzini lassù hanno il vantaggio della “nevicità”, parola inventata pensando all’acquaticità.
A livello donne qualcosa di meno marcato.
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