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Sorpresa Il pesto è tunisino

GenovaChe al posto dei preziosi pinoli ci infilassero noci o addirittura anacardi, lo sapevamo già. Che non ci fosse, a volte, parmigiano reggiano e pecorino, ma altro formaggio stagionato, pure. Che l'olio, al posto dell'extravergine, fosse di semplice oliva, per non parlare d'altro, anche. Senza contare, ovviamente, altre sostanze conservanti.
Tutto lecito, per carità. Ma vuoi mettere il paragone con un mazzo di foglioline appena raccolte sulle alture di Prà, nelle serre del ponente genovese? Con quelle foglioline, certamente, massaie e appassionati di cucina il pesto non lo sbaglierebbero di sicuro.
Ora, che il basilico si arrivi a comprarlo, nella stagione invernale, anche ai due euro a mazzo, per quello prelibatissimo di Prà, per scendere del trenta o quaranta per cento per quello di Andora e Albenga, è innegabile. Ci mancherebbe. Costa. Purtroppo. Che l'Unione Europea, pressata da lobbies internazionali, non abbia concesso la «docg» o la «dop» per la nostra stupenda salsa, la seconda più assaggiata al mondo, non ci sta bene. E la battaglia su questo fronte a Bruxelles continua. Ma che proprio il basilico, che invece ha ricevuto come prodotto genovese e ligure, il riconoscimento di «Denominazione di origine protetta», venga, a volte, «taroccato» è una vergogna. Proprio come le borse di Chanel. Gli occhiali di Gucci. Le scarpe da ginnastica Nike. Anche il pesto, a volte, verrebbe confezionato con basilico che proviene da Marocco e Tunisia. A denunciare il sistema, ormai collaudato, è Roberto Casotti, giovane produttore di Prà che ieri, insieme a una decina di altri imprenditori, età media 43 anni, hanno presentato al Parco del basilico, a due passi dall'uscita autostradale, il nuovo marchio dell'Unione agricola genovese di Genova Prà.
«Purtroppo per il pesto succede anche questo - spiega Casotti - e non si tratta di pastifici e aziende isolate. Da Marocco e Tunisia vengono esportate centinaia di tonnellate di basilico. Gli acquirenti sono i trasformatori. Cioè quelli che poi producono il pesto e lo immettono sul mercato. Nella stagione invernale molto del pesto prodotto da grandi e piccole aziende contiene basilico maghrebino. Oppure proveniente da Latina. I consumatori devono essere consapevoli che se nell'etichetta della confezione non c'è riportata almeno la dicitura basilico ligure, in inverno c'è un'alta probabilità che quella salsa sia stata realizzata con basilico del Nordafrica, di Latina o, altre volte, addirittura surgelato, proveniente dal Cile. Discorso differente per il basilico sui banchi dei mercati e dei fruttivendoli.

Lì ci va a finire anche quello di Latina e non quello maghrebino, ma a volte il consumatore rimane ignaro della vera provenienza e se vuole il nostro basilico o quello di Andora e Albenga la raccomandazione è quella di stare attenti alle diciture sulle confezioni».

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