Ci sono almeno due grandi affari che si intrecciano oggi con la politica. E in una certa misura la influenzano. La nascita della più importante banca italiana, San-Intesa. E la riorganizzazione del settore telefonico-televisivo. Energia (Eni) ed elettricità (Enel) sono già strategicamente e azionariamente legate alla politica. La gestione delle infrastrutture (da Autostrade fino alle strade lombarde controllate da Asam) è infine un terzo terreno sul quale la politica ha scelto di dare «uno sguardo».
Il rapporto tra questi grandi macro settori e la politica è fluido. È difficile scorgere dei percorsi diretti di influenza reciproca. Ma occorre sempre tenerli a mente per meglio decifrare alcuni malumori allinterno dellattuale maggioranza. Dario di Vico sul Corriere della Sera ha svelato il grumo: smettetela dirigenti diessini di lamentarvi dellincapacità di condizionare gli affari e iniziate una politica delle mani libere. Cosa sta dunque succedendo?
Romano Prodi ha agevolato la nascita di un polo bancario (il matrimonio tra Intesa e SanPaolo) di straordinaria potenza. Si tratta di unoperazione che ha un alto valore industriale: non è un capannone post terremoto costruito in Irpinia. I suoi manager sono dei supermen nel piccolo stagno della dirigenza italiana. Diciamolo chiaramente: SanIntesa potrebbe anche avere la foto di Prodi in ogni filiale (e non sarà così) ma resterebbe pur sempre una mossa più che azzeccata.
Sul lato politico però essa rappresenta uno smacco per una parte della maggioranza. Il segretario dei Ds Fassino solo pochi mesi fa dava il suo placet politico alla scalata di Unipol alla Bnl. E con lui mezza dirigenza che conta del suo partito. Quel progetto è abortito con strascichi giudiziari compromettenti. E il Corriere di Di Vico che oggi invita i Ds ad avere «le mani libere nellintreccio politica affari» dalle manovre estive dellanno scorso ne sa qualcosa: con il tentativo di scalata subito da Ricucci.
Un progetto di «banca amica» e che per di più si becca il plauso dei mercati a soli pochi mesi dallinfrangersi del progetto Unipol non può che bruciare. A ciò si aggiunga che lindebitato sistema industriale italiano proprio con le banche deve fare i conti. Intesa e San Paolo hanno partecipazioni dirette e indirette in molti business che contano.
Quando poche settimane fa il fondo di private equity si è comprato i motori della Avio per 2,6 miliardi di euro, lintervento di Palazzo Chigi si è fatto sentire. Così come, ovviamente scollegato da qualsiasi influenza politica, si è anche chiuso un finanziamento da poco meno di 2 miliardi di euro a favore degli acquirenti da parte di Banca Intesa. Sia chiaro, si è trattato di un affare di mercato e tutti gli attori si sono mossi secondo le regole, ma il timore di una certa parte della sinistra e dei diessini è che il cerchio si possa chiudere.
Altrettanto a rischio, in questa logica e per la stessa componente, è la risistemazione dellindustria delle telecomunicazioni. Che è sempre industrialmente più vicina a quella delle televisioni. In buona sostanza nelle case di 20 milioni di famiglie italiane oltre alle antenne ci sono anche i doppini telefonici. Oggi attraverso di essi può arrivare anche un segnale tv. Ultimo ingrediente sono i tanti debiti di Telecom (la proprietaria delle linee telefoniche): ha 40 miliardi di debiti ereditati proprio dalla scalata che, complice DAlema, a Palazzo Chigi portò in auge la «razza padana». Dunque finanziariamente fragile e supportata dalle banche. Il suo possibile «matrimonio riparatore» con Murdoch non le verrà permesso nelle forme più estreme. E nelle ultime settimane si sono intensificate le pressioni affinché la Telecom ceda le sue due televisioni. Lì pronta a braccia aperte cè proprio la Rcs-Corriere della Sera che si è recentemente portata a casa come suo amministratore quellAntonello Perricone che tanto Prodi voleva alla guida della Rai.
La Superbanca, se i suoi azionisti non si metteranno di traverso, è cosa fatta. Il prossimo terreno è quello delle Tlc-Media. I diesse non staranno alla finestra.
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