Cultura e Spettacoli

Spacey: con Shakespeare riempio il teatro di giovani

L’attore americano ha rilanciato il glorioso Old Vic, prima da direttore artistico poi anche da raffinato interprete con il suo «Riccardo II»

Aridea Fezzi Price

da Londra

Quando l’anno scorso Kevin Spacey prese in mano la direzione artistica della più nobile istituzione teatrale britannica, lo storico Old Vic Theatre, l’establishment culturale londinese arricciò il naso preparandosi a puntare i fucili sul temerario attore americano che stufo del cinema si improvvisava actor-manager deciso a dedicarsi anima e corpo al teatro, la sua vera passione. L’Old Vic, tempio del National theatre e quasi seconda casa di Laurence Olivier, era in crisi da venticinque anni quando l’eroe di American Beauty si accinse a rilanciarlo in grande stile non più come teatro elitario ma rivolto al grande pubblico. La prima stagione suscitò molte critiche, commedie nuove di leggera portata, una mediocre produzione di Philadelphia Story, ma il nome di Spacey era bastato a far salire vertiginosamente gli incassi in un teatro non sovvenzionato, sempre sull’orlo del fallimento.
Spacey doveva soprattutto sfatare il cliché di un’immagine legata a stretto filo al mito di Hollywood, convincere che la sua priorità non è il cinema ma il teatro. Ha recentemente terminato la sua ultima pellicola Superman returns, nel ruolo di Lex Luthor, per la regia di Bryan Singer (uscirà l’estate prossima), ma lo considera solo un colpo pubblicitario per farsi conoscere da un pubblico giovane con la speranza di trascinarli a teatro.
Affermarsi sulla scena di Londra non è cosa per tutti, «mi ci vorranno almeno cinque anni» aveva detto appena sbarcato all’Old Vic, ma Spacey è una figura enigmatica, e l’asso nella manica l’ha tirato fuori in questi giorni debuttando con successo nel suo primo Shakespeare sulla scena del più shakespeariano - dopo il Globe - dei teatri di Londra. La sua interpretazione di Riccardo II in un allestimento moderno tutto cellulari, cineprese, televisioni e multischermi ha felicemente stupito anche i critici più diffidenti. Difficile non apprezzare una recitazione sfumata dalle luci e dalle ombre dell’ambiguo e complesso monarca. Anche la voce intensa e baritonale ha sorpreso, magistralmente ripulita dell’accento americano ha assunto un accento inglese che ha un sapore d’antico. In abiti moderni, ambientato nel mondo mediatico d’oggi, il nuovo allestimento per la regia di Trevor Nunn lo stimolava perché Spacey non voleva cadere nell’ovvio, ma la ripetizione sui multischermi dell’azione in scena appare ingiustificata e incoerente in questa pièce distintamente medievale in cui un sovrano perde lo scettro e la maestà.
Se l’interpretazione di Spacey appare fredda e distaccata è perché il suo Riccardo II è così convinto del proprio diritto divino da non concepire la possibilità di essere contrastato dai nobili. Ma la vulnerabilità, l’incredulità, la rabbia e il dolore dell’abdicazione, sono un crescendo sapiente che mai nega la dignità al fragile e imperfetto sovrano.
In scena fino al 26 novembre, Richard II ha già incassato mezzo milione di sterline in prenotazioni, Kevin Spacey sa quello che sta facendo e questo brillante debutto shakespeariano lo conferma. Annunciando la nuova stagione ha ribadito il suo impegno decennale con l’Old Vic. Dopo la tradizionale pantomima natalizia Aladdin con Ian McKellan, il 2006 vedrà in gennaio la prima mondiale dell’ultimo lavoro di Arthur Miller, Resurrection blues per la regia di Robert Altaman, cui seguirà un’eccezionale allestimento anglo-iracheno con attori di entrambi i paesi della Storia di un soldato di Stravinskij in una nuova versione del poeta iracheno Abdulkarim Kasid, direttore musicale Robin O’Neill. Spacey ricalcherà la scena il prossimo autunno in A moon for the misbegotten di Eugene O’Neill. Per l’actor-manager è scattato il successo, ma per la sua carriera di attore il teatro è davvero tutto? Sì, ha dichiarato, «non volevo continuare a fare tre o quattro film all’anno per altri dieci anni per soddisfare un pubblico che in realtà non mi conosce.

Il teatro è la mia vita, mi affascina il rituale e mi piace la sfida».

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