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Baby K: "Sono la femmina alfa tra i maschi del rap"

Cosmopolita e grintosa, oggi pubblica il suo primo album. "Non capisco perché l'hip-hop sia roba solo per gli uomini"

Baby K: "Sono la femmina alfa tra i maschi del rap"

Tosta è tosta, e si capisce subito. Baby K, nome d'arte di una ragazza di parte, area hip hop, vocazione melodica, vero nome Claudia Nahum. È la «femmina alfa» del rap italiano, come si intuisce dallo slogan di un suo vecchio brano inserito anche nel suo primo disco fatto e finito, in uscita oggi con il titolo giusto in copertina: Una seria. «Non lo faccio apposta eh, non voglio essere cattiva», rappa ne Il tuo boy è preso male, nel quale compare anche Tiziano Ferro, vero fil rouge del disco visto che ha contribuito a comporre quattro brani ed è featuring (ospite, nello slang rap) in tre: «All'inizio avrebbe dovuto essere solo uno, poi ci siamo presi bene e ne abbiamo fatti altri due». Capito?

Parla con un accento strano, questa trentenne bella e minuta, e magari nel suo flow vivace (il flow è la sequenza di rime rap) non si intuisce molto. Ma se si ferma a parlare, ecco che il suo italianese la inquadra come una viaggiatrice del mondo che a Roma è arrivata soltanto quand'era già inglese: «Mio padre è un geofisico, io sono nata a Singapore ma i miei vivevano a Giacarta. Poi sono rimasta a Londra dai 7 ai 17 anni: e in effetti al mio arrivo a Roma ero sostanzialmente un'inglesotta e ho dovuto riadattarmi ai modi di vita di casa nostra». Di certo ha fatto i conti con la verniciatura maschilista di tanto rap, più nei tifosi integralisti che nei rapper. Ma come, una donna? «Io non ci avevo mai pensato a quanto fosse strana una donna che rappa: sono state le critiche sul web che mi ci hanno fatto pensare. Con dolore». E difatti ha scritto Sparami, che intanto è uno sfogo: «Forse è meglio che smetto, sono il bacio con il rossetto, il rap è il mio colletto». Ma poi diventa anche una minaccia: «Ora sparami addosso che dopo non mi fermi mai, spara sparami ma non sbagliare». Insomma, è il femminismo 2.0, molto consapevole, magari indignato dal conformismo della donna in tv o persino in politica ma molto poco piagnucoloso o vuotamente aggressivo: «La femmina alfa non annichilisce l'uomo ma si sente donna al cento per cento»

In fondo ci sarà un motivo se, dopo aver collaborato con Bassi Maestro, Gue Pequeno dei Club Dogo, Vacca e Amir, ora Baby K ha sostanzialmente convinto il Pantheon del rap italiano, mica solo Tiziano Ferro e il grande produttore Michele Canova Iorfida che sono un fulcro essenziale di questo disco. Dopo La Pina (metà anni Novanta) è la prima rapper italiana con le carte in regola e per di più arriva in un momento nel quale il rap si sta cantautorializzando, sempre più capace com'è di raccontare la realtà di tutti, e non solo quella delle periferie. Perciò piace. Ed è piaciuta a Marracash, che è featuring in Non cambierò mai («È molto versatile, il paroliere più bravo di tutti») e a Fabri Fibra che ha composto per lei, come si dice, al buio: «Mi han detto che aveva scritto per me, ho ascoltato il brano, era bellissimo e ho deciso di adattarlo qui e là». Si intitolava Uno serio, lei l'ha femminilizzato in Una seria ma Fibra ha deciso lo stesso di recitare l'intro. Boom. Bel disco, da cima a fondo, e molto meno rap di quanto possa sembrare a scatola chiusa. Lei spiega che è «un album azzardato ed eccentrico, senza troppi limiti. In fondo sono arrivata al rap dal dubstep e quindi non mi piace limitarmi troppo». Un po', però, l'ha fatto: nella vita privata. Ad esempio non ha confessato la passione ai suoi genitori fino al 2010 «quando avevo più garanzie di poter continuare questo mestiere». Dopotutto, si sa, in Italia la musica è sempre considerata un hobby fino a prova contraria. Per una donna, poi: «Perciò in questi flow ho espresso rabbia e la voglia di rivalsa che mi accompagna sempre sia per le piccole frustrazioni quotidiane che per i grandi progetti in generale». E anche se tanti si limiteranno ad apprezzarne il profilo, o la grinta, Baby K è realmente una femmina alfa di nuova generazione. Lucida. E priva delle zavorre ideologiche che tanti ancora si portano dietro. «Vero che nel rap si parla spesso delle donne in maniera brutale. Ma a quali donne si riferiscono?», chiede. E poi spiega: «Non certo quelle di cui sono innamorate e alle quali dedicano dolcissime canzoni d'amore». Quindi basta con i luoghi comuni. E occhio perché, comunque vada, questa italiana di ritorno non sparirà tanto presto.

Anzi.

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