La Butterfly incorona Chailly gran maestro della Scala

Il direttore: "Abbiamo reso giustizia all'opera di Puccini". Alla cena di gala la Siri si rilassa e Hymel fa il piacione

La Butterfly incorona Chailly gran maestro della Scala

Mercoledì, come sappiamo, l'opera della prima della Scala, Madama Butterfly, ha trionfato. E' un'opera lirica, dunque è arte totale, nasce dal lavoro di squadra. Ma quest'anno l'esito si deve anzitutto alla direzione d'orchestra. A Riccardo Chailly, fra 20 giorni esatti Direttore Musicale del teatro, dopo due anni spesi come direttore generale (titolo ponte assunto nella fase in cui era anche al timone dell'Orchestra di Lipsia). E stato il trionfatore assoluto della serata. «La storia di Madama Butterfly alla Scala è lunga e complessa - ha detto - . Questo è il momento del riconoscimento della grandezza di questa versione». Come commenta il successo? «Lo auspicavamo. Sono commosso e toccato», ha detto con un filo di voce. Felice per aver riscattato questa Madama Butterly «con 112 anni di ritardo. All'epoca suscitò grande stupore ma oggi spero entusiasmo».

Chailly è artista di rigori e sobrietà. Calato il sipario, non c'è spazio per la mondanità. Neppure per la cena di gala. Era proprio lui il grande assente del dopo prima della Scala, alla Società del Giardino. Diserta sempre questi appuntamenti, ci dice chi gli è vicino.

Al tavolo imperiale siede la cantante protagonista Maria José Siri, in kimono, al fianco della figlia. E' sfinita, «è dal 25 ottobre, il giorno dell'arrivo, che sono sotto tensione. Ora finalmente mi sto rilassando. Sento che il mio corpo si sta sciogliendo», confessa la cantante, accolta - con tutta la squadra - da 13 minuti di applausi e, alla fine, lacrime (di gioia). E' sul suo personaggio che si regge il peso dell'opera. Anche lei ha una figlia (ma non l'ha avuta all'età di 15 anni, come erroneamente riportato nell'articolo a lei dedicato La scommessa del soprano alla sua prima Butterly nello speciale del Giornale uscito in edicola mercoledì). Sono 550 gli ospiti della cena delle cene. Ci sono gli artisti di punta e le poche istituzioni presenti allo spettacolo, gli ospiti speciali. Alexander Pereira, il sovrintendente, ha il suo bel da fare a monitorare salone e salette della Società. Passa fra i tavoli, fa gli onori di casa, saluta, parlotta, ravviva il network di un teatro che vive di soldi pubblici ma sempre di più dei denari dei munifici sponsor. Lo spagnolo Carlos Alvarez, il cantante più navigato del cast, ha appena mandato un biglietto al suo ex re, Juan Carlos, presente in sala. «Non veniva mai ai nostri spettacoli, neppure quando li organizzavamo per lui con Placido (Domingo). Mi ha stupito il fatto che sia venuto alla Scala», commenta.

Le regie delle prime (e non solo) scaligere vengono immancabilmente «buate». Quest'anno applausi anche per l'allestimento. La critica ha fatto notare che la regia non era spiccata (per usare un eufemismo), e lo spettacolo molto piacione. Del resto, per sua stessa ammissione, Hermanis non vuole osare. Anzi. «Il mio sogno è essere conosciuto come un vecchio regista». Un sogno questo? «Io non sono tra quelli che ritengono che il passato sia vecchio, da archiviare. L'Europa è il vecchio mondo e deve proteggere la sua cultura. Ho lavorato in tanti Paesi europei e spesso si finisce per stravolgere la tradizione, in questo caso l'opera. Mi piace invece l'idea che in Italia si abbia cura della tradizione del melodramma». Hermanis conservatore, insomma. E disposto «a rinunciare all'ego del regista». Del resto, viene dal mondo della prosa, «lì sono il boss», dice. L'opera ha le sue regole, i suoi modi di essere, e così lui si è affidato a chi ne sa più di lui. A Chailly, «già al primo incontro l'ho considerato un maestro. Le sue osservazioni venivano fatte sempre in modo educato. Quindi l'ho seguito». Per la verità, la bellezza e intelligenza interpretativa di questa Madama Butterly firmata Chailly sta proprio nell'aver portato alla ribalta le modernità latenti, per questo l'esotismo di maniera in scena è risultato ancora più distante. Ma tant'è. Chi non ha problemi a osare è il tenore Bryan Hymel, americano come Pinkerton. Forse è il più deboluccio del cast, ma certo il più smagliante nel dopo spettacolo. Ride e scherza con quel vocione che corre per le sale della Società del Giardino. The show must go on.

Vedremo cosa riserverà la

regia (cinematografica? Oserà lui?) di Martone atteso per l'allestimento dell'Andrea Chénier del 7 dicembre 2017. Direzione musicale di Chailly e ritorno della stella Anna Netrebko, con il marito - Yusif Eyvazov - al seguito.

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