C'è una sinistra antisemita (che finge di non esserlo)

Il rigoroso saggio di Alessandra Tarquini sull'odio anti ebraico che nessuno racconta

C'è una sinistra antisemita (che  finge di non esserlo)

Che la sinistra non possa ergersi in cattedra a elargire lezioni sull'antisemitismo lo sapevamo fin da piccoli. Ma oggi c'è un libro che ci conferma e, anzi, ci rafforza in questa convinzione. Non si tratta di un pamphlet di poche pagine, composto in fretta e furia da qualche losco e destrorso figuro, ma di una seria, robusta, documentata monografia storica, frutto di anni di ricerche di archivio, scritta da una studiosa accademica inattaccabile, Alessandra Tarquini: il volume si intitola La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992 (Il Mulino, 22 euro). Ne volete qualche squarcio? Un Enrico Berlinguer che nel 1967, già negli alti gradi del partito comunista, in una riunione di Direzione spiega che la «distruzione di Israele» è «irrealizzabile»: irrealizzabile, non mostruosa. Oppure, siamo a Roma nel 1982, Lungotevere, di fronte alla Sinagoga. Chi grida «Ebrei ai forni! W l'Olp Morte a Israele»? Neofascisti. No, esponenti del corteo della Cgil, Cisl e Uil. Militanti, si dirà. Ma il Pci nella Direzione del 10 giugno 1982 aveva accusato Israele di perseguire il «genocidio», mentre a un Elio Toaff sdegnato dagli slogan antisemiti dei sindacati, il segretario della Cgil Luciano Lama non trovò di meglio, in luogo di condannare, che giustificarli come comprensibili di fronte alla «guerra crudele scatenata dalle armate israeliane contro un popolo che rivendica il suo diritto sacrosanto ».

Non andava molto meglio sul versante socialista: l'esponente della sinistra anti-craxiana, Enzo Enriques Agnoletti, negli stessi giorni, paragonò l'esercito israeliano a quello che aveva sterminato gli italiani alle Fosse Ardeatine, cioè ai nazisti. Del resto questa identificazione tra Israele e il nazismo circolava già da tempo nella sinistra italiana, soprattutto presso gli intellettuali e segnatamente sul quotidiano Il Manifesto, che se la prendeva addirittura con il «Dio violento di Israele». Come nota giustamente Tarquini, il paragone tra Israele e il nazismo rimontava agli anni Cinquanta, ed era il frutto di una «antica difficoltà della sinistra di accettare fino in fondo gli ebrei».

Proprio perché antica, la studiosa inizia a raccontarla dal 1892, data di nascita del Partito socialista italiano, e la chiude nel 1992, data simbolica della morte di quel partito, mentre pochi mesi era finita, almeno nominalmente, la storia del Pci. Fino alla Seconda guerra mondiale la questione ebraica, così rilevante in paesi come Francia, Germania, persino Stati Uniti, in Italia non era molto sentita, soprattuto nel socialismo italiano, che lo considerava una tema di scarso rilievo.

Colpisce che però anche negli anni Trenta, di fronte al nazismo e persino alle leggi razziali, i giornali clandestini comunisti e socialisti non pare fossero troppo interessati all'argomento: repressivi e autoritari con tutti, nazisti e fascisti lo erano anche con gli ebrei. Nessuna particolare attenzione alla specificità dell'antisemitismo, e questo addirittura ancora fino agli anni Cinquanta, quando il tema dei campi di sterminio e della Shoah occupava un posto secondario nella cultura di sinistra. Forse perché, a mio avviso, scorre nel sangue della sinistra di matrice socialista e poi comunista fin dalle sue origini una forte ostilità nei confronti degli ebrei. Vero è che l'antigiudaismo di derivazione cristiana aveva una lunga e sanguinaria scia dietro di sé, ma all'inizio dell'Ottocento a scrivere che il capitalismo era stato introdotto dagli ebrei usurai fu uno dei fondatori del socialismo, Charles Fourier. E il termine antisemitismo fu inventato a metà ottocento da un giornalista tedesco radicale di sinistra, Wilhelm Marr.

Ovviamente la storia si fa incandescente con la nascita dello Stato d'Israele ma, soprattutto, dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967. A questo punto, mentre i comunisti, sulla spinta di Mosca, accentuano l'ostilità nei confronti di Tel Aviv, i socialisti al contrario rafforzano la loro simpatia nei confronti del sionismo. E quindi bisogna distinguere da una sinistra anticapitalista e ostile all'occidente, come quella comunista, per la quale l'antisionismo è talmente radicato da non essere più distinguibile dall'antisemitismo, e una sinistra riformista o in ogni caso agganciata all'allenza occidentale. Lo dimostra il forte legame tra Bettino Craxi e la causa palestinese, soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta. Questa politica craxiana condusse a errori anche gravi di valutazione, ma mai si confuse con chi invitava a distruggere Israele o a considerarlo un degno erede delle SS.Quella storia è finita per sempre.

Ma a guardare le posizioni di certi eredi della storia comunista, e pure di quella democristiana di sinistra, non certo apertissima con gli ebrei, oppure a guardare cosa succede alla Brigata ebraica ogni 25 aprile, o certi slogan dei centri sociali, pare che la sinistra italiana continui a mantenere un rapporto ambiguo, strumentale e in cattiva fede con gli ebrei e con Israele.

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