Ceronetti in fuga dalla ferocia del conformismo

Ceronetti in fuga dalla ferocia del conformismo
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Con Guido Ceronetti, scaltro crittografo del nulla, condivido la ferocia antidemocratica («i molti non sono per la poesia, altro che nulla; ai molti vanno le canzoni, la propaganda, la democrazia...»), gli sfottò alla New Age (ribattezzata «mercati di spiritualità in saponette») e l'idea che l'«incretinimento generale» in cui affoghiamo sia «misteriosamente, temo, pianificato». Per questo, dal pamphlet che questo eccentrico poligrafo che pubblica con gli editori più chic d'Italia (di solito Adelphi, quando va magra Einaudi), il toccasana della stampa patria (pubblicare un Ceronetti giustifica un centinaio di libri inutili), si è regalato per i 90 anni (compiuto il 24 agosto scorso), vanno ritagliate con devozione le quattro pagine introduttive, dalla pagina 13 alla 16, mirabili. Un buon blocco, da pagina 17 a pagina 34, potete serenamente incenerirlo. Sono le poesie che Ceronetti ha dedicato al tema del Messia (Adelphi, pagg. 116, euro 12; nel 2002 un volume omonimo il divo Guido l'ha pubblicato con Tallone). Ora, chi pratica Ceronetti da un tot sa che di Ceronetti vanno lette le traduzioni bibliche (Isaia e Giobbe su tutte), ma bisogna stare ben lontani dai romanzi, una arlecchinata, dagli aforismi (più pretestuosi che corrosivi: Ceronetti non è il suo amico Cioran) e soprattutto dalle poesie.

Chi custodisce come una reliquia apocrifa la raccolta La distanza (Bur, 1996), è consapevole che i versi di Ceronetti (esempio: «Se ci fosse pietà il mio non sono/ In modo umano ti direbbe io sono») sono ben distanti dall'essere grande poesia. Non fa eccezione questo fascio di testi, isterici («Grasso, nudo, impazzito/ Un camionista in testa/ Si dimena sul cofano: lo vedo!/ I miei occhi lo vedono, è il Messia!»), misterici («L'Unico sempre torna/ Che non venendo viene»), spompati (in una poesia c'è il Buddha che telefona In una casa New Age, ma «Naturalmente nessuno c'è/ Quando rispondere è urgente, è necessario»).

Meritano la lettura, invece, le restanti 43 pagine: Ceronetti, Grande Puffo della gnosi, cerusico del nichilismo, è un bibliomane impenitente e ha antologizzato le più belle pagine messianiche della letteratura occidentale. Si va, slogando lo spazio-tempo della storia letteraria, da Eraclito a Ionesco, da Virgilio a Dostoevskij e Joseph Conrad. Già che c'è il novantenne può tutto Ceronetti antologizza se stesso, tra Isaia, Rimbaud, Victor Hugo, Samuel Beckett e Dino Buzzati. Il libro si chiude sul Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels, quasi a giustificare l'attesa messianica della rivoluzione, la lotta cattocomunista. A questo punto, è un peccato che non sia accolto un brano de I dodici di Aleksandr Blok.

Il grande poeta simbolista, arruolato dopo la Rivoluzione russa del 1917 nella Commissione d'inchiesta sui crimini zaristi, aveva tragicamente capito tutto («il popolo rivoluzionario non ha fatto altro che distribuirsi attorno alla stessa torta davanti alla quale sedeva la burocrazia») e immagina, nel suo poema più ambiguo e più grande, che davanti alla «bandiera rossa... bandiera insanguinata», «con una corona bianca di rose/ cammina Gesù Cristo». Sarà per un altro libro. Di questo il succo è questo: dato che non c'è altro che il nulla, tanto vale credere in qualcosa.

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