Che realismo i kamikaze sbucati dalla bidonville

Che realismo i kamikaze sbucati dalla bidonville

La fede sbarca a Cannes nel nome di un duplice integralismo, quello cattolico e quello islamico, e tira fuori due film diversi quanto interessanti, entrambi cupi e entrambi ispirati a storie vere, comunque destinati a far riflettere.
Il primo, Al di là delle colline, in concorso, ha la regia del romeno Christian Mungiu (già Palma d’oro a Cannes cinque anni fa con Quattro mesi, tre settimane, due giorni) e racconta la storia di Alina, orfana, innamorata di Voichita, sua compagna di solitudine e l’unica persona che abbia amato e da cui sia stata amata. Torna in Romania dalla Germania perché convinta che ripartiranno insieme, ma Voichita è entrata in un convento, gestito da un prete ortodosso, carismatico ma in urto con le autorità ecclesiastiche: ha trovato Dio e vuole essergli fedele, ma il tutto sa di bigottismo. Ne verrà fuori uno scontro sentimentale che ha per oggetto due povere disgraziate, trasformato in una lotta fideistica, il bene cattolico da un lato, la «strega pagana» da esorcizzare dall’altro, la preghiera che diventa strumento di sopraffazione, l’indifferenza alle ragioni più elementari del buon senso barattata con l’intransigenza dei principi. Alina morrà, come avvenne in Moldavia, nel 2005, nel caso analogo da cui Mungiu prende spunto e che portò alla scomunica del religioso, ma anche all’insabbiamento dell’inchiesta su quella tragedia.
Les chevaux de Dieu, il film di Nabil Ayouch in gara nella sezione del Certain Regard, affronta invece gli attentati terroristici del maggio 2003 a Casablanca, 14 kamikaze usciti tutti dalla stessa bidonville di Sidi Moumen, la prima apparizione di Al Qaida sul suolo marocchino. Il titolo rimanda all’espressione «volate, cavalli di Dio» considerata un appello al jihad, la guerra santa, e usata in un comunicato dell’organizzazione di Bin Laden all’indomani dell’attentato alle Twin Towers del 2001.
Chi voglia capire come funzioni il reclutamento per «il martirio» troverà il film educativo: bidonville da dove i giovani non escono, si sclerotizzano, diventando parte di un microsistema facilmente permeabile, capacità dell’islamismo integralista di riempire il vuoto in nome della solidarietà, fungendo insieme da figura paterna, di solito inesistente o debole, e da elemento di sicurezza nei confronti del mondo esterno, corruzione e degradazione delle istituzioni pubbliche. Entrambi i film sono ben girati e ben interpretati, anche se quello di Mungiu soffre di un universo totalmente chiuso (un monastero isolato, circondato da una natura ostile), dove non filtra mai un raggio di sole, reale e/o metaforico.

Al confronto, i ragazzi di Sidi Mpumen, fino a che l’infanzia li preserva dal momento delle scelte, hanno una gioiosità miserabile e violenta che incanta e spaventa. Tarik, il kamikaze meno probabile e invece alla fine più risoluto, aveva come soprannome e mito Yascin, il grande portiere russo, e solo su improvvisati campi di calcio era riuscito a sognare.SS

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica