Così Culicchia racconta l'amore di un figlio per un padre infatuato dell'etica nazista

In "Il cuore e la tenebra" lo scrittore torinese affronta un tema scomodo

Così Culicchia racconta l'amore di un figlio per un padre infatuato dell'etica nazista

Una cosa che ogni vero scrittore dovrebbe fare e che hanno fatto tutti i grandi scrittori: scavare nell'essere umano, senza schemi, senza pregiudizi, senza ideologie.

Mentre oggi da noi è tutto un moralismo, una predica sociale, un femminismo, una resistenza tra il salotto e un kebab, la banalità del male ma anche quella del bene. Salvo quando arriva uno scrittore che ti sorprende, come è il caso del nuovo romanzo di Giuseppe Culicchia, dal titolo molto conradiano, Il cuore e la tenebra (pagg. 232, euro 17), appena uscito per Mondadori. È un romanzo feroce, sebbene scritto con delicatezza ed eleganza, perché parla d'amore, di quell'amore che resiste a tutto, la vera resistenza, la vera trasgressione esistenziale. Dell'amore di un figlio trentenne, Giulio, raggiunto dalla notizia della morte del padre, direttore d'orchestra ossessionato dall'esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven diretta da Furtwängler nel 1942 per il compleanno di Hitler.

Tuttavia il figlio, dopo essersi recato a Berlino per la cremazione, scandagliando il computer del padre trova decine, centinaia di scritti, e scopre che l'ossessione era andata oltre la musica, si è allargata al contesto, a un'ammirazione per gli stessi nazisti, a prendere Hitler come un modello. Un modello di cosa? Di volontà estrema, della perseveranza che serve per portare a termine un progetto, un ideale, e chi potrebbe negare che un ideale è stato anche il nazismo? Quella «determinazione a non arrendersi mai». Un ideale del male, ovviamente, ma in ogni caso un ideale, per il quale i nazisti sono stati disposti non solo a uccidere ma anche a morire.

Qui male e bene, tra l'altro, si confondono, e nel libro di Culicchia trovano spazio anche molte foto. Terribili foto di uomini scheletrici deportati a Auschwitz, ma anche altrettanto terribili foto di uomini scheletrici internati dagli americani, durante la guerra del Vietnam. E allora dove inizia il bene, dove il male? E poi foto della propaganda nazista, film di Leni Riefenstahl, il Trionfo della volontà, Olympia, e «masse di guerrieri e atleti che si muovono all'unisono. Geometrie perfette. Armonia dei corpi. Liturgie pagane capaci di celebrare a un tempo la vita e la morte. Capisco come si possa essere sedotti, totalmente». Attenzione, comprendere non è giustificare, ma è un territorio minato, sul quale Culicchia non ha avuto paura di inoltrarsi. E in ogni caso cosa fareste se scopriste che vostro padre ha avuto, nel pensiero, un'ammirazione per i nazisti? Pur essendo stato un padre esemplare, un padre amorevole, un padre impeccabile, un padre che, in sostanza, non ha mai fatto del male. Un padre che a un certo punto ha fallito la propria esistenza, il rapporto con la moglie, perfino la carriera, e si è rifugiato nel passato, un passato non vissuto, nella ricerca di un ideale, di chi ha avuto il coraggio di portare alle estreme conseguenze il perseguimento di un ideale, scivolando dalla perfezione dell'esecuzione di Furtwängler alla perfezione dell'orrore hitleriano.

Che la voce narrante, quella di Giulio, chiama appunto orrore, assolutamente orrore, inequivocabilmente orrore, ma questo orrore non può far cessare l'amore per suo padre, e in ogni pagina c'è una lotta tra questi due sentimenti, una lotta che non diventa mai una predica, mai un'omelia, ma estenuante ricerca di comprensione.

Immagino gli autorini impegnati con la puzza sotto il nasino lì a chiedersi: ma Culicchia è impazzito? Ha scritto un romanzo di destra? Addirittura filonazista? No ha scritto un doloroso romanzo sull'amore, sul pensiero, e sull'essere umano, sul cuore e la tenebra appunto, altrimenti sarebbe stata solo una sciocchezza di Michela Murgia.

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