Donne, successo, soldi Il culto di Basquiat vittima ma di se stesso

Al Mudec di Milano una bella retrospettiva del primo artista nero ad entrare nel gotha

Donne, successo, soldi Il culto di Basquiat vittima ma di se stesso

La stella nera di Jean-Michel Basquiat continua a illuminare il mondo dell'arte e la sua vicenda, creativa e umana, continua a essere oggetto di studio da parte della critica e adorata dal pubblico, soprattutto da giovani che al momento della sua scomparsa, nel 1988, forse neppure erano nati. Aveva appena 27 anni e proprio la fine prematura e assurda della superstar della pittura americana negli straordinari anni '80, lo ha iscritto di diritto a quel club di morti giovani di cui sono parte, tra gli altri, Brian Jones dei Rolling Stones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain e Amy Winehouse.

In libreria sono da poco uscite due ricche biografie: La vedova Basquiat di Jennifer Clement (Electa), scritta dalla donna che più gli fu vicino nell'ultimo periodo, e Basquiat. La regalità, l'eroismo e la strada di Michel Nurisdany, appena tradotto per Johan&Levi. A conferma di un vero e proprio culto scatenatosi attorno al primo artista nero di successo planetario, si apre oggi al Mudec di Milano una retrospettiva che segue di un decennio la grande mostra della Triennale, aperta fino al 26 febbraio e prodotta da 24 Ore Cultura.

Ben 140 lavori, provenienti in buona parte dalla collezione di Yosef Mugrabi, divisi in sezioni che ripercorrono cronologicamente un percorso breve ma straordinariamente intenso, a cominciare dalle esperienze di artista di strada, quando firmava i suoi interventi con la sigla SAMO, anche se Basquiat graffitista non lo è mai stato sia perché il linguaggio pittorico era molto più colto, con continui riferimenti a primitivismo, art brut, espressionismo e Picasso, sia perché il ventenne e ambizioso Jean-Michel puntava dritto al successo e a entrare dalla porta principale nell'art system. È il 1980 quando la grande mostra The Times Square Show rivelò una generazione nuova di artisti che rivoltarono la cupezza degli anni '70 invadendo New York di colore. Il talento di Basquiat apparve subito dirompente; la notizia arriva fino in Italia, infatti nel 1981 Emilio Mazzoli lo invita nella sua galleria di Modena per una personale. E lui se ne arriva in Emilia con la corte variopinta di personaggi improbabili, pusher, gangsta rap, come una scandalosa rockstar.

Più ancora che il suo mito Andy Warhol, che conobbe in un bar insieme al gallerista Bruno Bischofberger e a cui vendette dei disegni, Basquiat era ossessionato dai soldi, dal successo e dalle donne. Chi parla di lui come di una vittima del sistema equivoca clamorosamente la realtà. Oltre alla droga che non gli mancava mai, con i primi guadagni si circondò dei tipici status symbol dei bianchi: abiti firmati con una passione per Giorgio Armani, auto di lusso, locali e ristoranti da vip dove invitava le ragazze, mai di colore, insieme alla sua crew. La storia racconta di un flirt piuttosto significativo con Madonna, anche lei lanciatissima e determinata a raggiungere il successo, ma quando la promettente cantante si rese conto della vena autodistruttiva del pittore, preferì scegliersi partner con minore familiarità con le droghe.

I suoi dreadlocks, le trecce alla giamaicana, divennero presto un simbolo della rimonta della cultura black, che finalmente conquistò uno spazio significativo anche nell'arte. La prima gallerista a lanciarlo a New York fu ancora un'italiana, Annina Nosei della quale si favoleggia lo chiudesse in uno scantinato in Prince Street, zeppo di droga, per farlo produrre come un matto e soddisfare le tante richieste. In realtà lo spazio era un loft grande e spazioso, e proprio Basquiat si sforzava di lavorare molto per guadagnare sempre di più, convinto della necessità di battere il ferro finché fosse caldo, visto che i collezionisti impazzivano per lui ed erano disposti a pagare grosse cifre, tutte in contanti.

Fu comunque l'artista più giovane a essere invitato a Documenta e, nonostante l'indubbia vena commerciale di molti lavori, la critica fu unanime con lui, ad eccezione del perfido Robert Hughes che sarcasticamente lo definì l'Eddie Murphy della pittura. Non c'era festa o evento in cui la sua presenza, spesso insieme a Warhol, non rendesse il party qualcosa di speciale.

Cambiò altri due studi sempre Downtown, in Crosby Street e Great Jones Street, dove una mattina dell'agosto 1988 venne trovato morto, ucciso da un'overdose.

Una morte che ha certo alimentato il mito restituendocelo intatto fino a oggi. Al suo funerale lesse l'orazione Jeffrey Deitch, critico e dealer, che oggi cura la mostra di Milano insieme a Gianni Mercurio.

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