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E un documentario ci apre le porte della sua villa-museo opera collettiva »

«Levate cieco e famme vede». Forse Sordi sta tutto qui. Nella frase politicamente scorretta di Roma di Fellini (1972) che dopo la prima proiezione, d'accordo col regista, fu «censurata» come tutto il cammeo di Albertone, scomparso insieme a quello di Marcello Mastroianni. I due interpretavano se stessi (forse troppo) alla festa «de' noantri» a Trastevere e apparivano antipatici per il pubblico che li amava. Meglio lasciar perdere. Ora, grazie alla Cineteca di Bologna, ritroviamo questa chicca nel documentario Alberto il Grande, prodotto dalla Regione Lazio - Assessorato alla Cultura (nel decennale della scomparsa, con una mostra al Vittoriano e un viale intitolato a Villa Borghese), in cui Luca e Carlo Verdone cercano di raccontare l'attore romano attraverso testimonianze (Goffredo Fofi, Gigi Proietti, Emi De Sica, Franca Valeri, Ettore Scola), materiali d'archivio e, soprattutto, portandoci nei luoghi che Sordi ha abitato. Così per la prima volta, grazie alla sorella Aurelia, si sono aperte le porte della villa quasi museo, incastonata fra l'inizio dell'Appia e le Terme di Caracalla, che fu del gerarca Dino Grandi e che Sordi comprò nel '58 all'apice del successo, battendo Vittorio De Sica. Carlo Verdone si muove timido e rispettoso, quasi a non voler disturbare «Sordi la cui presenza è tangibile», tra gli ambienti che l'hanno visto ospite anche durante la preparazione del film che fecero insieme, In viaggio con papà.
Un documentario della memoria, malinconico e un po' dolente, fra le stanze sempre in penombra («Forse per non rovinare i quadri del Settecento» pensa Verdone) in cui niente è stato toccato e che sono un po' lo specchio della complessità dell'uomo Sordi. Lo stesso che quando gli chiedevano se voleva figli tirava fuori dal portafoglio la foto di un «bambino ideale» aggiungendo «questo è mio figlio» con tanto di bacetti. D'altro canto è celebre la risposta all'altro interrogativo sul perché non si fosse mai sposato: «E che mi metto un'estranea in casa?». Ecco dunque la camera da letto dove la domenica seguiva le partite dell'amata Roma prima della «pennichella».

Ecco il bagno, la barberia, la sala da pranzo in cui, dice la domestica di sempre, Sordi pranzava spesso «con un piatto unico di pasta al pomodoro e dentro le polpette che gli piacevano tanto». Infine la sala del cinema e del teatro, palcoscenico delle tante feste che diede fino alla morte della sorella Savina. Dopodiché molta riservatezza. E sempre più penombra.

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